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Economia

Crollo delle imprese artigiane: in cinque anni l'Abruzzo ne ha perse 2mila 728, Pescara è maglia nera

A scattare la pessima fotografia per la Cna l'economista Aldo Ronci, la provincia di Pescara ne ha perse 861 e nessun settore, sul territorio regionale, è stato risparmiato dalla scure: la variazione negativa è di oltre il 9 per cento. Il presidente Calice e il direttore Saraceni: "La regione attivi quanto previsto dalla buona legge che c'è"

Dal 2018 a oggi l'Abruzzo ha perso 2mila 728 imprese artigiane e il record negativo ce l'ha la provincia di Pescara che ne ha perse ben 861. Subito dietro c'è Chieti con un saldo negativo di 750, quindi L'Aquila a meno 560 e Teramo a meno 557. La performance peggiore in Italia quella dell'Abruzzo, se si escludono le Marche, nell'ultimo quinquennio.

A scattare la pessima fotografia dell'artigianato abruzzese è stato Aldo Ronci che ha elaborato i dati messi nero su bianco in un report per conto della Cna (dati movimprese.it).

Entrando nel dettaglio l'indagine di Ronci parla di 28mila 896 imprese attive nel 2018 scese a 27mila 168 nel 2023 con una variazione negativa regionale pari a un calo del 9,12 per cento: quasi il triplo della media nazionale che è pari al meno 3,25 per cento. Peggio, come detto, hanno fatto solo Le Marche che ha visto diminuire le imprese artigiane dell'11,56 per cento.

I numeri “negativi” delle province: Pescara maglia nera

Guardando alle province Pescara al 31 dicembre 2018 contava 7mila 174 imprese agricole ridottesi a 6mila 313 e cioè quel meno 861 che si traduce nel 12 per cento di diminuzione. Il dato decisamente più alto sebbene nelle altre province, come detto, non vada meglio. A Chieti le 750 imprese perse hanno portato il totale dalle 8mila 329 del 2018 alle 7mila 579 del 2023 (meno 9 per cento); a L'Aquila si è passati da 6mila 704 a 6mila 144 (meno 560) per una perdita dell'8,35 per cento e a Teramo la chiusura di 557 attività artigiane attesta il calo in provincia a meno 7,24 per cento passando dalle 7.689 imprese presenti nel 2018 alle attuali 7mila 132.

Il crollo interessa tutti i settori

Nessun settore produttivo si è salvato dal crollo con le costruzioni che forse a sorpresa, sono quelle che soffrono di più: ben 926 quelle perse in cinque anni e cioè un calo dell'896 per cento in Abruzzo e cioè un numero di quindici volte superiore alla media nazionale che vede una crescita dello 0,50 per cento. Quanto alle attività manifatturiere e ai trasporti, questi settori segnano decrementi rispettivamente di 895 (meno 13,29 per cento contro una media nazionale del 10,06 per cento) e 304 unità (20,54 per cento a fronte di una media nazionale del 10,95 per cento): nel caso del manifatturiero, le perdite più significative si sono verificate, nel campo alimentare (meno 177), nei prodotti in metallo (meno 120) e nell’abbigliamento (meno 106). Nella tabella presenti anche i dati riguardanti la ristorazione con la chiusura di 184 attività (meno 17,79 per cento, mentre la media nazionale è del 7,77 per cento); riparazioni auto (meno 236 imprese per un calo del 10,33 per cento a fronte di una media nazionale del 5,62 per cento); i servizi per la persona con 55 attività in meno pari a un calo dell'1,19 per cento (la media nazionale è in crescita del 2,60 per cento) e il settore pulizia e giardinaggio che ha visto un calo di cinque imprese pari a un meno 0,48 per cento quando in Italia il settore è invece cresciuto del 9,79 per cento.

Le ragioni della drammatica situazione e le "responsabilità" della Regione

Questa drastica caduta del mondo delle micro e piccole imprese, rimarca la Cna, chiama evidentemente in causa più fattori ed elementi: le politiche in materia di accesso al credito; di contenimento dei costi per l’energia; di stimolo all’internazionalizzazione e alla digitalizzazione; sulla trasmissione d’impresa; sulla formazione professionale. Aree che pongono in discussione ancora una volta le scelte della Regione, che in materia di artigianato vanta competenza esclusiva.

“È come se ogni anno il nostro territorio avesse visto la chiusura di una fabbrica con 1.300 addetti – commenta il presidente Cna Silvio Calice – senza contare i danni provocati in termini di coesione sociale, territoriale e previdenziale. Certo, alla flessione concorrono anche fattori giuridici e cioè le norme tutelano di più le società di capitali rispetto all’artigianato, fatto questo che ne spinge molti a cambiare natura giuridica, ma la spiegazione sta soprattutto nella mancanza di politiche attive a favore delle microimprese”, rimarca.

“La Regione ha competenza esclusiva in materia di artigianato, eppure di una buona legge regionale in vigore da anni resta sin qui applicata solo la prima parte burocratica, non la seconda che contiene norme importanti sulle politiche attive legate a trasmissione d’impresa o altre misure attive. E quanto a grandi progetti come il pnrr – conclude -, anche lì non è previsto nulla a favore del settore”.

“Questi dati negativi – aggiunge il direttore Cna Savino Saraceni – vengono da ancor prima il 2018. Quando un artigiano arriva alla chiusura, vuol dire che le ha provate davvero tutte prima di arrendersi. Ecco, noi vorremmo dalla politica scelte in grado di invertire questa tendenza, un cambio di passo in fatto di metodo: deve crescere il valore della concertazione con il mondo delle imprese e delle loro associazioni, per favorire scelte capaci di aggredire queste tendenze negative”, conclude.

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