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In Abruzzo vivono oltre 80mila stranieri, ma servono politiche di inclusione: lo svela Openpolis

In Abruzzo vivono oltre 80mila persone di origine straniera, soprattutto rumeni, albanesi e marocchini. Di questi più di 2mila migranti sono accolti nelle strutture di accoglienza dislocate in regione

Servono nuove politiche di inclusione, in particolar modo nella scuola e nella sanità. È la denuncia di Openpolis, che rivela che in Abruzzo vivono oltre 80mila persone di origine straniera, soprattutto rumeni, albanesi e marocchini. Di questi più di 2mila migranti sono accolti nelle strutture di accoglienza dislocate in regione. Sono numeri in linea con il fenomeno osservato nelle regioni del centro-sud.

Migliorare e implementare le politiche di inclusione, dunque, è cruciale per integrare una società dall’età media sempre più alta.

Migrazioni recenti e comunità radicate

Quando si parla di persone provenienti da paesi esteri, occorre distinguere queste persone in base al loro status e ai tempi di arrivo e permanenza nel nostro paese. Ci sono infatti gli stranieri residenti, di cui molti sono stanziali e ormai stabiliti sui territori, spesso in nuclei familiari più o meno numerosi. Ma ci sono anche i richiedenti asilo e i rifugiati, rientranti nella categoria spesso generalizzata di "migranti": ossia quelle persone che nella maggior parte dei casi, appena entrati in Italia, chiedono asilo politico o umanitario. 

Si tratta per lo più di persone che faticano a essere inclusi nel tessuto sociale delle città e dei paesi dove vivono, principalmente a causa delle croniche deficienze del sistema di accoglienza, di cui parliamo da anni attraverso il nostro osservatorio indipendente. Attualmente, gli ultimi dati disponibili sui centri si riferiscono al 31 dicembre 2021.

A quella data circa il 10% dei comuni abruzzesi erano interessati all'insediamento di centri, siano essi i centri di accoglienza straordinaria (Cas) - ossia le strutture pensate come eccezioni ma da anni ormai maggioritarie nel sistema - o gli appartamenti in accoglienza diffusa del sistema ordinario (Sai). 

I posti nei centri per richiedenti asilo e rifugiati in Abruzzo nel 2021 erano 2.102.

Di questi, il 61,9% (1.302 persone) dei posti era in un centro di accoglienza straordinario (Cas) e il rimanente 39,1% nel sistema ordinario (Sai).

Parliamo in tutto di 120 strutture - tra appartamenti in accoglienza diffusa e centri collettivi - in 37 comuni.

Il comune interessato da più posti per l'accoglienza era il capoluogo di regione L'Aquila (235 persone, di 199 nei Cas), seguito da Roseto degli Abruzzi nel teramano (200 richiedenti asilo, di cui 150 nei Cas) e Vasto, nel chietino, dove nel 2021 venivano ospitati 150 richiedenti asilo e rifugiati, di cui 50 nei centri straordinari.

Si tratta di numeri indubbiamente esigui, cui vanno aggiunte ovviamente tutte le persone migranti che vivono in regione ma che non sono più ospitate nei circuiti di accoglienza e, in generale, gli stranieri e le straniere residenti nel territorio.

In questo senso ci sono peculiarità storiche in Abruzzo, regione che da sempre vede una presenza importante di comunità provenienti da paesi dell'Europa orientale o una concentrazione, in territori specifici, di stranieri che hanno in comune la stessa origine. È il caso della comunità senegalese a Pescara, radicata da molti anni, o di quella marocchina legata alla coltivazione dell'altopiano del Fucino, in provincia dell'Aquila.

Al primo gennaio di quest'anno i residenti stranieri in Abruzzo erano oltre 80mila persone (per l’esatezza 80.963), di cui la maggioranza (il 53%) donne.

Con quasi 22mila persone, la comunità di stranieri residenti in Abruzzo più numerosa è quella rumena. Parliamo più del doppio delle persone appartenenti alla seconda comunità più importante, l'albanese, che all'inizio di quest'anno contava più di 10mila residenti.

Le persone rumene e albanesi, sommate, rappresentano il 40,1% di tutti gli stranieri in Abruzzo. Una percentuale superiore al dato nazionale: queste due comunità, infatti, rappresentano il 29,8% del totale degli stranieri residenti nel paese.

Parliamo di gruppi in molti casi ormai radicati nel tessuto economico e sociale dei territori abruzzesi, siano questi ricadenti nelle aree interne che nei centri più urbanizzati.

Ovviamente le esigenze di persone che vivono in un determinato luogo da molto tempo cambiano rispetto a chi è migrato più recentemente. Basti pensare alle esigenze delle famiglie con minori.

Le politiche pubbliche necessarie all'inclusione

"La presenza di cittadini di paesi terzi aumenta in modo esponenziale alcune criticità che come società abbiamo - afferma a Abruzzo Openpolis Valerio Antonio Tiberio, presidente di Arci Abruzzo - parlo soprattutto dell'accesso al sistema sanitario, della ricerca di un'abitazione o degli strumenti di supporto alle famiglie come il tempo pieno nelle scuole".

L'Arci in Abruzzo è attivo nell'accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, attraverso alcuni progetti di accoglienza diffusa (Sai) e nella gestione di alcuni centri per minori stranieri non accompagnati.

Attualmente, racconta Tiberio, il grosso del lavoro dell'associazione è tuttavia legato all'accoglienza delle persone provenienti dall'Ucraina. L'Abruzzo, infatti, è la regione italiana che ha accolto più ucraini in rapporto alla popolazione: oltre 8mila in tutto, di cui alcune centinaia si trovano ancora in appartamenti dedicati all'accoglienza diffusa sulla costa adriatica, tra Chieti e Giulianova (Teramo).

C'è poi tutto un filone di attività dell'associazione nell'ambito legato all'inclusione sociale degli stranieri residenti, attraverso alcuni progetti del fondo asilo migrazione e integrazione (Fami). Parliamo di persone e famiglie anche radicate in regione, ma che per esempio possono essere vittime di capolarato o di altri tipi di discriminazione.

In questi casi l'attenzione è all'integrazione a trecentosessanta gradi nelle comunità locali: "Lo standard sul tempo pieno nelle scuole della regione è ancora molto lontano dall'essere realizzato - evidenzia Tiberio - questo problema è drammaticamente amplificato per le famiglie con cittadini di paesi terzi, perché in presenza di lavoro di entrambi i genitori e in assenza di reti familiari al contrario presenti per gli italiani, si va in difficoltà". Sempre in ambito formativo, rispetto ad altre zone del paese si è indietro sulla presenza di mediatori culturali nelle scuole, e questo "non facilita l'inserimento di molti ragazzi e ragazze".

Come si accennava in precedenza, c'è poi un gap da colmare sull'uguaglianza nell'accesso alle cure mediche: "La maggior parte degli stranieri in Abruzzo non ha cartelle cliniche tradotte dalle proprie lingue di origine", sottolinea il presidente di Arci Abruzzo. Sembra un problema secondario, ma invece è fondamentale conoscere lo storico medico di una persona, per evitare rischi in caso di malattie, allergie e ricoveri ospedalieri.

E poi c'è l'emergenza abitativa, un vero e proprio dramma sociale che nonostante la presenza di milioni di case non abitate nel paese, travolge moltissimi italiani e stranieri che vivono in Italia come in Abruzzo.

In assenza di collegamenti efficaci (ed economici) non è facile per una famiglia con reddito basso neanche vivere in un luogo più periferico, dove si presume che gli affitti delle abitazioni costino meno, e poi spostarsi per lavoro verso i grandi centri urbani.

Si tratta di uno dei principali problemi per l'inclusione degli stranieri in Abruzzo, come altrove: la precarietà socio-economica di chi vive ai margini dei grandi centri urbani, privo di un salario sufficiente al costo della vita in quei luoghi.

L'implementazione di servizi di base in ambito scolastico, sanitario o nella mobilità rappresentano esempi di come le politiche pubbliche, se improntate al potenziamento dei servizi pubblici, possono essere funzionali al miglioramento della vita di tutti, stranieri e non, combattendo anche la cosiddetta "guerra tra poveri". Una dinamica strumentalizzata dalla politica, e a cui spesso assistiamo quando si affronta la questione migratoria.

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