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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Si va verso il rinvio a giudizio di 65 persone per i green pass falsi, coinvolta anche Pescara

Lo scandalo dei certificati verdi fasulli emessi da un poliambulatorio di Treviso era scoppiato nell'aprile di quest'anno

Sono complessivamente 65 le persone indagate per le quali la Procura di Treviso si appresta a chiedere il rinvio a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sui green pass falsi.
Come riporta TrevisoToday, i 65 indagati sono residenti nelle province di Treviso, Padova, Reggio Calabria, Pordenone, Venezia, Bolzano, Bologna, Asti, Salerno, Pescara, Napoli, Alessandria, Milano).

L'accusa è quella che avrebbero ottenuto nel poliambulatorio "Salute e Cultura" di Fiera un falso Green Pass per evitare il vaccino.

Tra loro figura anche l'ex prefetto di Treviso, Maria Augusta Marrosu. La stragrande maggioranza degli indagati non avrebbero esternato ai loro legali l'intenzione di chiedere riti alternativi (il processo in abbreviato o il patteggiamento) e preferirebbero invece affrontare il giudizio con un procedimento ordinario. A cinque persone viene contestata l'associazione a delinquere finalizzata al falso ideologico. L'indagine aveva preso inizio quando durante un controllo a campione per le verifiche sui green pass i carabinieri del Nucleo antisofisticazione si accorgono che nel poliambulatorio di Fiera alcuni certificati che attestavano la positività al virus insieme ad altri che aveva decretato la guarigione dal Covid erano stati firmati da Carniato o da Possamai in un periodo in cui le stesse avrebbero dovuto essere a casa in malattia proprio perché positive loro stesse al virus. È da quel preciso momento che scattano le verifiche più approfondite del Nas, che avrebbero scoperchiato il bubbone. Gli esami su alcune decine di campioni di test rapidi o test molecolari, conservati nei laboratori, effettuati dal Ris di Parma che realizzano che effettua un’analisi genotipica dei tamponi, scoprono che su un campione complessivo di 50 provette il Dna estratto appartiene soltanto a cinque persone. Praticamente una decina di persone, positive sulla carta, avevano lo stesso Dna riconducibile allo stesso individuo.

L'inchiesta avrebbe inoltre svelato che erano state prodotte false certificazioni scaricando dalla rete dei Qr code di ignari cittadini, che venivano distribuiti nel mercato "no Vax", consentendo l'ingresso in locali pubblici, teatri e cinema che al tempo erano sottoposti alle restrizioni.

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