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Il sindacato Sappe sul suicidio in carcere: "Situazione allarmante, ora segnali concreti da ministero della Giustizia e Dap"

L'organizzazione sindacale esprime la sua preoccupazione dopo che un detenuto si è tolto la vita nella casa circondariale di San Donato a Pescara

Era originario di Teramo e con problemi di natura psichiatrica il detenuto che domenica pomeriggio si è tolto la vita nel carcere di San Donato a Pescara.
«Come sapete, abbiamo sempre detto che la morte di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato», commenta amareggiato Donato Capece, segretario generale del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria), che sottolinea come «il pur tempestivo intervento degli agenti non ha potuto evitare che il ristretto riuscisse a togliersi la vita».

Per il Sappe, «la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza delle carceri del Paese. Il personale di Polizia Penitenziaria è stremato dai logoranti ritmi di lavoro a causa delle violente e continue aggressioni». 

Capece richiama un pronunciamento del comitato nazionale per la bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come «il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti e sconforta che le autorità politiche, penitenziarie ministeriali e regionali, pur in presenza di inquietanti eventi critici, non assumano adeguati ed urgenti provvedimenti».

«Sono decenni che chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene come anche prevedere la riapertura degli ospedali psichiatrici giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinari», denuncia Capece, che si appella al ministro guardasigilli Carlo Nordio: «Chiedo al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese. È necessario prevedere un nuovo modello custodiale. Ne abbiamo parlato in un recente incontro con il sottosegretario alla Giustizia, Del Mastro, che ci è sembrato particolarmente sensibile. A lui abbiamo ribadito che tutti i giorni i poliziotti penitenziari devono fare i conti con le criticità e le problematiche che rendono sempre più difficoltoso lavorare nella prima linea delle sezioni delle detentive delle carceri, per adulti e minori. Mi riferisco alla necessità di nuove assunzioni nel Corpo di polizia penitenziaria, corsi di formazione e aggiornamento professionale, nuovi strumenti di operatività come il taser, kit anti-aggressioni, guanti antitaglio, telecamere portatili, promessi da mesi dai precedenti vertici ministeriali ma di cui non c’è traccia alcuna in periferia. Confidiamo dunque che ora si vedano finalmente fatti concreti».

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