rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024
Montesilvano Montesilvano

Il triste commiato degli ucraini ospitati in Abruzzo ma ora mandati via

Dopo la comunicazione della protezione civile regionale Abruzzo anche gli ultimi rifugiati che erano scappati dalla guerra hanno lasciato l'Abruzzo

«Gli ucraini rinunciano all'ospitalità "speciale" italiana». Inizia così il racconto di Alberto De Marco, uno dei volontari che si è occupato dell'accoglienza dei rifugiati scappati dalla guerra in Abruzzo. 
«In questi 13 mesi di guerra e precisamente dall'8 marzo 2022 ci siamo occupati dell'assistenza 24/7 dei rifugiati ucraini arrivati in alcune strutture ricettive della provincia di Pescara», scrive De Marco, «non era il nostra piano A. Il piano A mio e di Anastasiya era quello di mettere in sicurezza quante più persone possibile, accettare l'ospitalità temporanea di qualche amico o famigliare e dedicarci part-time a Lvivska Brama mentre riprendevamo in mano le nostre vite».

Poi De Marco prosegue: «Dovevamo solo mettere in sicurezza queste persone. Ma molte di queste persone, al sicuro non si sono sentite mai, da quando sono qui. Inizialmente era stato detto loro che sarebbero rimasti 7-10 giorni in hotel. Sono diventati 2-3 mesi. È passato poi un anno. Di problemi. Intanto gli ucraini ricevevano la prima assistenza da noi e dalla rete di collaborazioni con i volontari non solo della protezione civile e delle associazioni private locali, ma anche da quelle estemporanee, fatte delle buona volontà di persone normali, e nonostante i continui problemi generati da lacune strutturali e un'organizzazione generale permeata dalla confusione inerente necessità, priorità, diritti e contesto politico. Le direzioni politiche, amministrative e operative si sono mostrate talvolta restie a considerare queste persone che abbiamo invitato a trovare ospitalità in Italia, coerentemente agli interessi della Repubblica Italiana, dei suoi valori e della comunità Cristiana. Molti ucraini sono stati destinati in aree remote, carenti di servizi per i locali e soprattutto per ospiti stranieri. Luoghi caratterizzati dalla grave crisi demografica, cosa che ha generato il sospetto che si volesse utilizzare questi ospiti temporanei, per ripopolare le aree depresse del Paese, magari attingendo alle risorse previste anche dall'ultimo decreto. In alcuni casi gli ucraini sono stati inseriti in centri dove erano presenti persone di varie nazionalità appartenenti a culture che giustificano l'invasione dell'Ucraina, determinando un evidente potenziale rischio di sicurezza per le persone. E questo solo perché nessuno ha parlato con gli ucraini e con chi si prendeva cura di loro ogni giorno. La disposizione di persone negli appartamenti e nei centri di accoglienza sembrerebbe in alcuni casi indifferente alle esigenze di distanziamento, soprattutto con una pandemia ancora in corso».

Così conclude De Marco esprimendo tutta la sua delusione: «Abbiamo invano cercato di comunicare con le istituzioni. I migliori risultati li abbiamo ottenuti guadagnando la stima e l'amicizia delle persone in divisa che sono per le strade. Il peggiore attirando su di noi antipatia, ostilità e indifferenza. E ne paghiamo le conseguenze, con la dignità e l'orgoglio di chi ha il privilegio di soffrire per una giusta causa. Nei confronti dei singoli rifugiati la situazione non è stata migliore. Gli ucraini sono una comunità forte e in costante contatto gli uni con gli altri e questo ha fatto sì che alcuni gravi errori abbiano avuto eco e diversi sgradevoli quando diffusi episodi abbiano ingenerato in loro diffidenza e paura delle pubbliche istituzioni Italiane. Per tutte queste ragioni e diverse altre, molti ucraini hanno deciso che sarebbero stati più al sicuro altrove. Alcuni sono partiti per altri Paesi europei, fin quando è stato consentito. Altri sono tornati in ucraina. Perfino un Paese in guerra è parso più sicuro. Questi fatti sono confermati dai numeri generali dell'ospitalità di rifugiati ucraini in Italia. Queste persone vanno via. Non per loro scelta. Queste persone stanno subendo un'ingiustizia sotto gli occhi di tutti».

Poi il racconto si conclude con un caso concreto: «Un uomo anziano di Kharkiv, vedovo a causa della pandemia e che ha perso tutta la sua famiglia (vittime di guerra e famigliari dispersi nella diaspora del popolo Ucraino), è stato portato lontano dalla comunità che era diventata la sua nuova famiglia e che da oltre un anno lo proteggeva. Lo hanno messo in una stanza con una persona proveniente dall'Africa e che non parla la sua lingua. Oggi quest'uomo ha scelto di rientrare a Kharkiv».

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Il triste commiato degli ucraini ospitati in Abruzzo ma ora mandati via

IlPescara è in caricamento