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VIDEO | Dalle spose bambine alle ragazze vittime di tratta: storie di dolore e di rinascita nella struttura della Caritas [FOTO]

Sono soprattutto somale e nigeriane e sono tutte giovanissime. Raccontare per loro è difficile, ma le loro sono storie fatte di orrore e viaggi pieni sì di speranza, ma anche di violenze: è sui muri che le hanno raccontate e a noi le racconta chi con loro vive la quotidianità

Un abbraccio inaspettato e in un attimo quella piccola di tre anni me la ritrovo a pochi centimetri dal viso. E' incuriosita dagli occhiali. Se li mette e inizia a camminare con il naso all'insù per non farli cadere. Chissà cosa vede attraverso quelle lenti che le distorcono la realtà. Il suo nome non lo diciamo, ma possiamo dirvi che il suo sorriso e quegli occhi curiosi su quella pelle color ebano sono gli occhi di tutti i bambini: vispi e curiosi. La differenza è che i suoi, seppur sapientemente protetti dalle braccia e le carezze della mamma, hanno già visto il dolore.

Siamo nella struttura Caritas di via Stradonetto. La piccola è nigeriana come la sorellina. Di bambini ce ne sono cinque: l'ultimo è nato proprio nella struttura ed è diventando per tutti, soprattutto per le operatrici e le suore che ogni giorno si occupano di loro, il simbolo della speranza.

Di ragazze ce ne sono 15 attualmente: arrivano quasi tutte dalla Nigeria e la Somalia. Sono giovanissime. Alcune sono spose bambine cui è stata portata via l'infanzia con la violenza e in nome di per noi incomprensibili tradizioni; altre hanno vissuto l'orrore dello sfruttamento, ma tutte hanno avuto il coraggio di rompere le catene cui si sono trovate legate o per nascita o per credo. Lo hanno fatto affrontando dei viaggi fatti sì di speranza, ma anche di violenza. Viaggi che non hanno voglia di raccontare. Se lo fanno ci spiega Lorenza Colantuono operatrice del centro, è con una persona addetta proprio alla ricostruzione delle loro storie, ma nessuna forzatura. Quelle storie le hanno però messe sui muri della struttura e tutti fino a domani possono andare a “leggerle” e sentirne le testimonianze. Murales su cui hanno lasciato le impronte delle loro mani e dei piedini dei loro bambini. Rappresentano il passato, il presente e il futuro: dal grigio mare in tempesta a quella stretta di mano di chi chiede aiuto e chi lo concede, fino ai colori dell'arcobaleno e le braccia dei bambini tese verso il sole per dire che una nuova vita è possibile.

I murales realizzati con il contributo delle rifugiate della Caritas: nelle immagini il loro messaggio

Quelle che oggi con i loro bambini si trovano nella struttura che a Pescara c'è dal 2007, seguono i percorso LaPe DreAm (Laboratorio pescarese diritti rifugiati e asilanti in movimento). Progetto ministeriale portato avanti dalla Caritas con il Comune di Pescara. Qui iniziano un percorso per avere una vita che, di fatto, non hanno mai avuto. Se con loro è difficile parlare perché l'italiano lo parlano ancora poco sebbene ora impegnate nei corsi di lingua, a parlarci di loro sono Lorena e suor Naidys.

“Attualmente – ci spiega Lorena – ci sono 15 ragazze e 5 bambini che hanno tra 8 mesi e 4 anni anni. Ci sono donne di diverse nazionalità. Accogliamo ragazze che sono fuggite da situazioni particolari per cui tornare nei loro Paesi vuol dire vivere una vita spezzata. Sono storie di ragazze che scappano dalla guerra, da violenze, dalle dispute tra le etnie. Ragazze che vengono maltrattate e che un futuro a casa loro non ce l'hanno”. Nessuna ha più di 20 anni tra le ragazze somale che incontriamo eppure sulle spalle portano pesi enormi, ma anche la forza di rompere con quelle famiglie che il loro bisogno di una vita diversa non lo comprendono. E su questo la cronaca ci viene tristemente incontro: basta pensare alla storia di Saman il cui corpo non è mai stato trovato e tornato sulle prime pagine dei giornali dopo l'arresto in Pakistan del padre perché ritenuto responsabile insieme ad altri familiari e la madre della ragazza ancora latitante, della sua morte.

Sono sbarcate in Sicilia dopo un lungo ed estenuante viaggio che non tutte riescono a concludere perché come ci spiega suor Naidys la Libia è uno scoglio di vero orrore da superare. “Qui si respira la loro vita passata e quello che è il conflitto di questa nuova – spiega -. Quando vivi la giornata e fai quelle piccole cose che si vivono in una famiglia ti rendi conto che sono persone che portano tante ferite come le possono portare una sorella, un fratello tuo, una mamma”, aggiunge con gli occhi lucidi. Da dietro il cancello di via Stradonetto arriva un messaggio forte e chiaro ad un tema caldo come quello degli sbarchi. Il pregiudizio non è una colpa, perché tutto ciò che non si conosce fa paura o, in un momento storico complesso come questo dove la povertà è trasversale così come il disagio sociale, può infastidire, ma “quando tocchi queste situazioni aiutare queste ragazze ti fa cambiare”, aggiunge sottolineando che non servono le parole “ma i gesti. Toccano l'altra persona e lei lo sente”.

Quel bambino nato nella struttura da una ragazza nigeriana arrivata incinta e con già due figli è dunque diventato un po' il simbolo di una rinascita possibile e di integrazione perché tutti i bambini che sono nella struttura vanno all'asilo e a scuola. “E' come fosse un nostro figlio – spiega Lorenza - Abbiamo seguito tutto il percorso della gravidanza, anche le paure che l'hanno accompagnata. Per noi è il simbolo della speranza e del fatto che venendo in Italia queste ragazze possono sperare in un futuro migliore: quello che nei loro Paesi non riescono a progettare”.

Se capire è difficile proviamo a farcelo spiegare da una bambina, Noora, che la sua di storia l'ha raccontata in un video realizzato in occasione della giornata mondiale del migrante e dell'immigrato e che la sua nuova vita l'ha iniziata proprio qui: a Pescara. 

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