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Mercoledì, 17 Aprile 2024

VIDEO | Scoppia la rabbia dei parenti delle vittime di Rigopiano: "Nessuna fiducia nella giustizia, vergognatevi tutti"

Giampaolo Matrone è il primo a rompere il silenzio al termine della lettura del dispositivo con cui di fatto si afferma che responsabilità nella tragedia non ce ne sono: poi è il caos

Assolti. La parola rimbomba infinite volte dentro l'aula 1 del tribunale. Il silenzio è totale. Solo in alcuni istanti qualche voce prova a levarsi ma lo stop nella lettura del dispositivo riporta ordine. Qualche singhiozzo si sente. Qualcuno ha bisogno di sedersi. Altri di uscire. Le condanne sono cinque e con pene nettamente inferiori a quelle richieste. Gli imputati eccellenti, se si esclude il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta condannato a 2 anni e 4 mesi per alcuni dei reati imputatigli a fronte degli 11 anni e 4 mesi chiesti dalla pubblica accusa, non sono responsabili di quanto avvenuto all'hotel Rigopiano il 18 gennaio 2017. Non lo è l'ex prefetto Francesco Provolo per cui era stata chiesta la condanna più alta, 12 anni. Non lo è neanche il presidente della provincia Antonio Di Marco per cui gli anni chiesti erano sei. Assoluzione piena anche per Ida De Cesaris, dirigente della prefettura che rispose alla chiamata del cuoco Quintino Marcella che cercava di far capire cosa era accaduto in quei momenti a Rigopiano.

Qualche responsabilità sulla mancata pulizia della strada e il monitoraggio della situazione c'è e le condanne arrivano per due dei dirigenti della provincia (3 anni e 4 mesi), ma per il resto la valanga che ha travolto l'hotel Rigopiano spazzando via 29 vite è stata, di fatto, una eccezionalità imprevedibile. Le motivazioni che spiegano il perché della deicisione che ha dato ragione agli imputati e i loro difensori sono state accolte permettendo agli imputati di tirare forse il loro primo sospiro di sollievo dopo sei anni, arriveranno tra 90 giorni.

Il silenzio si rompe quando il gup Gianluca Sarandrea arriva all'ultimo punto del dispositivo con cui ha messo nero su bianco la prima verità giudiziaria sulla vicenda. A infrangerlo è Giampaolo Matrone rimasto sotto le macerie con la moglie quel maledetto pomeriggio e per le tante ore successive. Lui è vivo, ma invalido. Lei non c'è più. Applaude in direzione del giudice. Lo ringrazia “per questa giustizia” con le urla rotte dall'ira e il pianto. Lui e il papà di Stefano Faniello che pure a Rigopiano a 28 anni morì, sono incontenibili. Quest'ultimo viene portato via mentre inveisce contro il gup. In aula è caos. Fuori anche.

“Avrà i rimorsi. Io sono finito dopo Rigopiano Volevo ricominciare a vivere da domani, ma così non rivivo. Continuo a sopravvivere per me e mia figlia. Avevo detto che portavo giustizia a casa. Dopo sei anni e non ci sono riuscito. Ci riuscirò dopo dieci ma lo farò per me e per tutti quanti loro. Lo avevo detto e lo farò”.

“Non è che ha condannato qualcuno ha condannato noi”, dice Alessio Faniello fuori dall'aula. Lui stamattina aveva dichiarato di averla ritrovata la fiducia nella giustizia proprio grazie a quell'impianto accusatorio crollato davanti alla sentenza del giudice. Poche ore dopo tutto è cambiato: “Come si fa ad avere fiducia nella giustizia da oggi in poi?”, si chiede.

La rabbia è tanta. Ci si muove da una parte all'altra. Si urla, si piange e ci si abbraccia. Marco Foresta che a Rigopiano ha perso papà Tobia e mamma Bianca scoppia in un pianto incontenibile, ma poi trova la forza per dirle due parole: “li hanno uccisi due volte. Come è possibile una cosa del genere? Non mi spiego come sia possibile. Non c'è più fiducia. Che fiducia deve esserci. Come facciamo dopo sei anni ad averne e dopo una sentenza del genere?”.

Con lui c'è anche la nonna, la mamma di Bianca. Parla al telefono con il figlio: “vergognatevi – dice -. In Italia succede questo. Figlio mio tu hai perso una sorella io ho perso una figlia d'oro. Un genero che amavo più di un figlio. Dove andiamo a cercare Bianca? Dove andiamo a chiamare Tobia? Li possiamo solo piangere dietro una pietra di marmo. Io mi vergogno. Io mi vergogno di essere italiana”.

Sentimenti umani e comprensibili di chi non può pensare che tutto sia stato un caso. Eppure per chi è chiamato a vagliare le prove quello che è accaduto a Rigopiano, di fatto, non poteva essere evitato se non per quei piccoli dettagli che a fronte del castello accusatorio, sembrano inezie.

Giustizia è fatta. Lo dice la legge.

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