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Venerdì, 19 Aprile 2024

VIDEO | A Rancitelli un'anti Stato di tipo mafioso con i cittadini vittime, il sistema sgominato dai carabinieri

I militari dell'Arma di Pescara raccontano quasi 3 anni di indagini che hanno portato a svelare la nuova mafia autoctona del capoluogo adriatico con base nella zona del rione Villa del Fuoco

La criminalità della zona di Rancitelli a Pescara avrebbe fatto un salto di qualità diventando una vera e propria nuova mafia autoctona.
Questo il sistema che sarebbe emerso nel corso dei quasi tre anni di indagine, iniziata nel maggio 2020, condotta dai carabinieri del reparto operativo guidati dal tenente colonnello Antonio Bandelli.

La criminalità era nelle mani di alcune famiglie di etnia rom che come base prima avevano il Ferro di Cavallo, ora svuotato e prossimo alla demolizione, e negli ultimi tempi sempre la zona tra via Lago di Capestrano, via Imele e via Tavo. Tanto che per la prima volta in città vengono contestati reati di associazione mafiosa tra i reati contestati anche la violazione dell'articolo 416 bis del codice penale. 

Da lì gestivano più o meno il crimine sull'intera città e anche parte del carcere di San Donato all'interno del quale venivano fatti entrare cellulari e sostanze stupefacenti. Proprio uno dei detenuti, ritenuto uno dei capi dell'organizzazione criminale, dall'interno gestiva ancora le operazioni proprio grazie a un cellulare. Avrebbe deciso, in un'occasione, l'utilizzo o meno di un'arma da fuoco. In totale gli arrestati sono stati 20 di cui 19 in carcere e 1 ai domiciliari. Di queste 7 erano già ristretti e diversi erano ufficialmente disoccupati e nullafacenti ma percettori del reddito di cittadinanza. Le perquisizioni sono state eseguite anche in carcere dove ci sarebbe stata una sorta di controllo dello stesso da parte di queste famiglie. Oltre al sequestro di un cellulare sarebbe stato accertato l'ingresso nella casa circondariale di sostanze stupefacenti.

Come spiega il tenente colonnello Bandelli «avevamo posizionato una serie di telecamere nella zona del Ferro di Cavallo che hanno documentato sia i reati che le aggressioni subite dai cittadini. Era stato creato un cartello per il prezzo di vendita delle sostanze stupefacenti come fosse un vero e proprio centro commerciale della droga. L'attenzione sul ferro di cavallo è stata continua ed era controllato costantemente dalle forze dell'ordine e ci sono stati numerosi interventi e arresti». E il colonnello Riccardo Barbera, comandante provinciale dei carabinieri, aggiunge: «Il servizio di prevenzione è continuo in quella zona».

Poi Bandelli prosegue: «Abbiamo cercato di dare un taglio analitico per andare oltre i singoli eventi criminosi. Non sono mancate nemmeno le aggressioni nei confronti dei giornalisti e di coloro che hanno provato a far emergere i problemi del rione». Come evidenzia il colonnello Barbera «non si poteva entrare senza il loro permesso, era diventata una zona franca». E Bandelli segnala «episodi di violenza anche contro gli ufficiali giudiziari che si occupavano degli sgomberi. Abbiamo avuto la collaborazione da parte di tutti a livello istituzionale». «Ma i cittadini», fa sapere il colonnello Barbera, «facevano fatica a mettere nero su bianco quanto ci raccontavano perché erano sotto costante minaccia. Non è una delle mafie storiche, è una mafia autoctona ma non meno pericolosa delle altre. È gente del posto che aveva fatto un salto di qualità che non avrebbe dovuto fare. Sono stati anche minacciati i testimoni dell'omicidio di Capodanno per evitare che collaborassero con gli organi di giustizia». 

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