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Lunedì, 2 Ottobre 2023
Calcio

"Il mio scudetto del '74 con la bandiera D'Amico", il pescarese Avagliano racconta gli anni d'oro nella Lazio

L'ex portiere biancoceleste vive da quarant'anni a Loreto Aprutino, ha chiuso la carriera con Penne e Lauretum

Pino Avagliano, ex portiere biancoceleste, da quarant’anni pescarese d’adozione, è una delle leggende della mitica Lazio di Maestrelli campione d'Italia nel 1974. Nei giorni scorsi ha perso un fratello, Vincenzo D’Amico, bandiera laziale scomparsa sabato scorso a 68 anni. La notizia della morte dell’ex capitano ha sconvolto i tifosi della squadra romana, ancor di più gli amici del centrocampista, fino a poco tempo fa commentatore in tv e gentiluomo del pallone.



"Il ricordo più bello? Il giorno dello scudetto: "La partita era Lazio – Foggia, vincemmo 1-0. Era il 14 maggio del ’74. L’Olimpico era una bolgia, non c’era spazio per un granello di sabbia. Pieno dalle nove del mattino. Tutto colorato di biancoceleste. Il Foggia si giocava la salvezza e non mollava. Arrivò un rigore per noi nel finale. Chinaglia andò sul dischetto. Per un paio di minuti non si sentì una mosca volare. Quando entrò il pallone, si sentì un boato pazzesco… ”, il ricordo di Avagliano, tanti anni da secondo, ma la gioia di aver debuttato in serie A.



“Io e D'Amico siamo arrivati alla Lazio nel 70/71, con altri due ragazzi. Fu il primo anno in cui la Lazio iniziò ad acquistare giocatori da fuori regione. Siamo stati insieme nei primi due anni, compagni di stanza. Avevamo io 17 e lui 16 anni. Da lì iniziò l’avventura con la Primavera. Ma un anno dopo D'Amico fu chiamato in prima squadra, si vedeva subito che era il fenomeno che poi sarebbe diventato. Un ragazzo favoloso, sempre sereno, sincero. Siamo stati come fratelli nei primi anni, io poi ho fatto esperienze in prestito mentre lui era protagonista in prima squadra. Sono stato tante volte a casa sua, con i suoi genitori, a Latina. La sua morte è un grandissimo dispiacere. Siamo stati sempre in contatto", il ricordo commosso di Avagliano, che ricorda anche le gesta del D'Amico calciatore: "Ha ottenuto molto meno di quello che meritava. Nella storia della Lazio lui e Bruno Giordano i più grandi. A 17 anni Vincenzo metteva già in grossa difficoltà i titolari della prima squadra. Maestrelli lo ha capito e lo ha lanciato nell’anno dello scudetto. Faceva giocate difficili, quasi impossibili, con una naturalezza impensabile per molti: nell’uno contro uno e nel breve era imprendibile. E’ stato il capitano, una bandiera, per 15 anni. Andò al Torino nel 1980 solo per amore della Lazio, che in quel momento aveva bisogno di soldi. Chiuse a Terni in B, a fine carriera. Se ne va un pezzo di storia di un calcio che non c’è più. Ricordo che dopo gli allenamenti lo trovavi in giro per la città, al bar con i tifosi o nei circoli: lo hanno amato tutti, ancora oggi era per tutti i laziali "Vincenzino nostro".



Avagliano continua a vivere nel mondo del calcio, insegnando ai bambini nella terra che lo ha accolto, a Penne e Loreto Aprutino. Il Pescara è la sua squadra del cuore oggi. “Mi dispiace che non riesca a prendere la strada giusta e stabilizzarsi nel calcio che conta. Strano che non riesca a darsi una struttura che possa dare degli effetti nel tempo per navigare stabilmente tra serie A e serie B. I risultati dicono questo. La B sarebbe una categoria importante per la città, ci sono tutti i mezzi per farlo. Tra i cadetti vedo realtà che sono nettamente inferiori alla nostra. Spero che le cose possano cambiare in futuro”.



A 76 anni, Zeman non molla e continua ad allenare ad alti livelli: “Lui è uno dei personaggi che hanno fatto la storia del calcio in Italia. Ha bravura e carisma. E' un highlander, se non decide lui di smettere, sarà in campo tutta la vita. Nessuno potrebbe costringerlo a restare a casa e lontano dai campi. Il Pescara fa bene a puntarci ancora”.

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