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Una distopia che racconta dell’umanità nella rubrica di Michele Fina

Ospite assieme all’autore è stato Simone Gambacorta, giornalista e critico letterario, che ha detto di avere “molto amato il romanzo, mi ha appassionato”

Nel 96esimo incontro della rubrica di Michele Fina “Dialoghi, la domenica con un libro”, ieri è stato presentato il romanzo di Franco Avallone “Un uomo fatto in casa” (Mac edizioni). Ospite assieme all’autore è stato Simone Gambacorta, giornalista e critico letterario, che ha detto di avere “molto amato il romanzo, mi ha appassionato. Nello stile di Avallone si annodano i tre filoni del suo retroterra: fumetto, cinema e carta stampata. E’ un romanzo distopico: nel 2047 un virus terribile sta distruggendo l’umanità. Sceglie un solo emisfero, quello al di sotto del 38esimo parallelo. Al di sopra imperversa la morte, la gente vive chiusa in casa: in questo scenario si intrecciano tre vite. E’ un mondo alla rovescia, che non rispetta più nessuna necessità di premessa rispetto alla sua storia precedente”.

Gambacorta ha individuato “più strati: la natura distopica, chi ama questo genere troverà pane per i suoi denti, e al di sotto di questa struttura c’è una critica alla contemporaneità. Avallone trasforma il nostro presente in un passato prossimo per parlarci di quello che potrebbe essere il nostro domani. Questo artificio consente un distacco per mettere meglio in luce aspetti critici della nostra contemporaneità. Tra questi la necessità drammatica che tutti abbiamo di capire quello che sta succedendo: questo romanzo pone il tema che l’umanità premette se stessa come se fosse ineliminabile ma in realtà la nostra specie potrebbe essere distrutta. Il tema di questo romanzo è quindi l’umanità. C’è anche una feroce ironia: un custode di uno zoo prende il virus da un orso, diventando il paziente zero, ma in realtà il responsabile non è l’orso ma gli allocchi, uccelli rapaci: il mondo è decapitato dagli allocchi”.

Per Fina “la scrittura di Avallone, che trovo in senso moderno fumettistica, ha spinto verso un racconto a due dimensioni, in cui quello che è accaduto ha poche sfumature, è netto e terribile, e vi si risponde con molto disincanto e in modo molto dissacrante. C’è un alto grado di complessità, compaiono diverse storie parallele anche in contesti lontani dal nostro, ci sono molti riferimenti esterni che sono interdisciplinari”.

Avallone ha spiegato che il progetto del suo libro è nato “d’impulso, durante il primo lockdown ho visto una serie di collegamenti video che avvenivano allo stesso modo, con la divisione tra chi minimizzava e chi no. Ho riflettuto che in ogni epoca abbiamo visto l’affermazione dei tuttologi. Ho scritto nel futuro per potere raccontare il presente perché storicizzarlo me lo consentiva meglio. Ci sono le cose che amo: il cinema, i fumetti con cui è cresciuta la mia generazione, e il block-notes che da cronista è dentro di me. I luoghi che ho descritto non li ho mai visitati, ritengo che descriverli senza visitarli sia molto più bello. Quello che mi ha colpito delle reazioni dei lettori è che ognuno ha portato cose diverse nel mio mondo, quello che ho descritto”.

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