Fontamara apre la rassegna "S.E.I. a Teatro"
Sarà “Fontamara” ad aprire la rassegna "S.E.I. a Teatro" il 4 novembre al teatro Madonna del Rosario. Regia di Federica Vicino. Partito come un esperimento di teatro popolare, è diventato uno spettacolo di prosa, basato su una rilettura drammaturgica del romanzo di Ignazio Silone, fatta in chiave antropologica. L’allestimento scenico segue fedelmente la trama del capolavoro di Silone, sebbene ricorrendo alla tecnica dello smontaggio del plot. Come nel romanzo, il dramma dei poveri contadini-“cafoni” di questo paesello immaginario della Marsica (che Silone chiama Fontamara, ma lasciando intendere che forte è il riferimento a Pescina, proprio paese di origine) emerge prepotente.
Siamo negli Anni Venti. A Fontamara, misero e sperduto paesello di montagna, viene tagliata l’acqua: per volere dell’amministrazione locale, viene deviato il corso del torrente che irriga i poveri campi dissodati con fatica dagli abitanti del piccolo centro. Attorno a questo spunto tematico, Silone disegna con rara maestria i contorni di un inamovibile mondo contadino, nel quale è ancora di?cile scindere fra il vecchio, rappresentato da un’Italia pre- unitaria nella quale convivono servitù e brigantaggio, regalìe e mezzadria, e il nuovo, rappresentato da un governo lontano e “cittadino”, che agisce secondo loghiche e dinamiche incomprensibili.
Nasce così una favola amara e inesorabile, che di nuovo propone la vecchia diatriba fra oppressore e oppresso (che tanto è stata impiegata e sviscerata nel teatro moderno e contemporaneo): i “cafoni” di Fontamara sono vittime di un “sistema- cultura” dal quale sono inevitabilmente, geograficamente e politicamente tagliati fuori. E’ un mondo nel quale l’ignoranza e l’ingenuità giungono a sfiorarsi, fin quasi a sovrapporsi; i buoni sembrano cattivi e viceversa; e sulla quale grava un senso di predestinato di verghiana memoria.
I perni su cui si sviluppa la narrazione scenica di questa produzione sono: il tema dell’acqua bene comune, cui più volte si fa allusione nello spettacolo; la ricerca linguistica: lo spettacolo è in lingua italiana, ma le scene corali sono sviluppate utilizzando un dialetto abruzzese poco contaminato (lo stesso Silone, nel romanzo, fa più volte riferimento all’incomunicabilità fra persone appartenenti a ceti sociali differenti; in particolare insiste sull’impossibilità di comprendersi fra “cafoni” e “cittadini”, mentre racconta di contadini della Marsica che, da emigranti, riescono a dialogare senza problemi con contadini incontrati oltreoceano, nelle Americhe); la figura di Berardo Viola, delinquente, disadattato, eroe suo malgrado e vittima designata di un contesto culturale costantemente alla ricerca di un capro espiatorio sul quale scaricare le proprie nefandezze.