Con ‘Caprò’ si conclude la seconda edizione de “La cultura dei legami”
17 marzo 1891, un bastimento inglese dall'evocativo nome di “Utopia”, partito da Trieste per raggiungere l'America, dopo due soste intermedie a Palermo e Napoli, si inabissò davanti alla baia di Gibilterra, a seguito di una collisione con il rostro della corazzata Anson ormeggiata nel porto. Durante la fase di attracco, un'errata manovra del comandante, favorita dalle pessime condizioni del tempo, provocò l'impatto che aprì una falla fatale. L'affondamento fu rapido e provocò la morte di quasi 600 viaggiatori di terza classe, perlopiù contadini italiani che nell'emigrazione vedevano una possibilità di riscatto e di benessere. Tra loro 14 abruzzesi di Fraine, in provincia di Chieti.
Nonostante la sciagura non ebbe la stessa risonanza che una ventina di anni dopo interessò il Titanic, dovuta sicuramente al differente lustro e prestigio dei suoi passeggeri, e alla sua fama di “inaffondabile”, acquisita però solo sulla carta, alcuni storici e ricercatori sono riusciti, nel tempo, a dare almeno la dignità di un nome ed un cognome ai dispersi di quella tragedia “minore” e consegnarli alla storia. Quella, però, che non rompe completamente il muro dell'oblio. Quella che non approda sui libri. Quella che nel suo “giro di do” inghiotte le piccole storie delle tante trascurabili vite di cui si nutre per garantirsi la perpetuità, le cui umanità, piene delle bellezze e delle bruttezze di ogni esistenza, si perdono per sempre.