"Ceremony for Sciolè", all'Aurum la mostra-evento dedicata a Flavio Sciolè
L'arte di Flavio Sciolè è "Anti-arte", il suo cinema è "anti-cinema": nelle sue opere "le azioni non ruotano attorno ai canoni predefiniti della rappresentazione ma lasciano ampio margine, con provocatoria intenzione, alla recitazione inceppata, alla ripetizione a oltranza, allo sbaglio. Film in cui si uccide l'inquadratura con l'intenzione di uccidere se stessi, ambientati in non-luoghi senza tempo dove tutto può diventare delirio e sottolineatura fetish" (Domenico Monetti, in "Cinecritica" n. 80, 2015).
La mostra, a cura di Silvia Moretta , prende il nome dal titolo della canzone “Ceremony” dei Joy Division: cantata dal vivo una sola volta da Ian Curtis nel 1980 a Birmingham, poco prima del suo suicidio, a soli 23 anni, è una canzone nata nel terreno ininterpretabile dell'angoscia, della follia, del disturbo esistenziale che prepara il gesto del suicidio. E le ossessioni, l'angoscia, l'inceppatura della mente sono i temi dell'anti-poetica di Flavio Sciolè, “un artista puro che commette atti impuri”; un artista che “commette” degli “atti” in etica coerente all’impurità.