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Violenza sulle donne, il Centro di ascolto uomini maltrattanti (Cam) compie un anno: positivo il primo bilancio dell'attività

A parlarne a IlPescara è una delle coordinatrici del centro, Cinzia Carchesio: una quindicina gli uomini che stanno seguendo il percorso e chi lo ha intrapreso già da tempo, spiega, inizia ad essere consapevole della gravità dei suoi comportamenti

Un bilancio ancora da definire complessivamente, ma che ha dei contorni decisamente positivi quello del Cam (Centro di ascolto uomini maltrattanti) di Pescara. Solo una delle realtà presenti centro-sud e che ha accettato, grazie alla professionalità dei suoi operatori, il sostegno dell'associazione Ananke da sempre in prima linea nella lotta contro la violenza sulle donne e quello del Comune, la sfida di affrontare il problema alla radice e cioè su chi la violenza, sia essa fisica o verbale, l'ha compiuta.

I cancelli in via Luigi Polacchi il centro li ha aperti a settembre 2021, ma è a inizio gennaio 2022 che l'attività è concretamente iniziata. Ad un anno di distanza, sebbene nessuno degli uomini presi in carico abbia ancora terminato il percorso, l'importanza di lavorare con loro a quel cambio culturale che è la chiave per contrastare davvero il fenomeno, mostra i suoi primi risultati. Un lavoro complesso, ma possibile che si arricchirà di un nuovo tassello grazie ad un protocollo d'intesa che sarà siglato con la questura nell'ottica della prevenzione e cioè per tentare di intervenire quando ancora una situazione può essere recuperata senza degenerare nella peggiore violenza.

Di tutto questo abbiamo parlato con Cinzia Carchesio, una delle coordinatrici del Cam. Sono una quindicina gli uomini che attualmente seguono i percorsi del centro. Molti sono quelli arrivati in ragione del cosiddetto “Codice Rosso”, cioè la normativa grazie alla quale sono state inasprite le pene per i reati di violenza domestica e di genere e che prevedono, appunto, l'inserimento in un Centro di ascolto per uomini maltrattanti, ma c'è anche chi il percorso ha decido di intraprenderlo volontariamente, ci spiega. 

Tra le storie che ci racconta ce n'è una che può forse più di ogni altra dare il senso dell'importanza di questi centri: “un uomo inserito in uno dei nostri gruppi è stato assolto rispetto al reato da Codice rosso di cui era accusato e per il quale aveva iniziato il percorso - spiega la coordinatrice -. Avrebbe potuto interrompere il rapporto con noi non essendoci più alcun obbligo, ma è stato lui a chiederci, compatibilmente con i suoi orari di lavoro, di continuare a partecipare agli incontri”.

Alla coordinatrice chiediamo quindi se dopo un anno di attività si possa dire che questo tipo di percorso sembra portare a dei cambiamenti nei comportamenti di chi, spesso per costrizione di legge, lo intraprende e la risposta è positiva. “Notiamo delle differenze tra chi arriva e chi è già inserito. Quando arrivano tendono a non interagire, ad osservare ciò che accade quando iniziano a partecipare, dopo i colloqui individuali, alle sedute di gruppo. Chi invece ha già da diverso tempo avviato il percorso non solo mostra partecipazione, ma spesso richiama proprio quelli che, appena arrivati, non hanno alcuna coscienza della gravità dei loro comportamenti”. Comportamenti che, come detto, non riguardano solo la violenza fisica, ma anche quella verbale e che troppo spesso in entrambi i casi vede come spettatori i figli minori. 

“Quando questi uomini arrivano – torna a spiegare dopo quanto già detto a IlPescara tempo fa – banalizzano i loro comportamenti, ma con il tempo, questo quello che stiamo osservando, comprendono anche l'importanza di non usare certe parole, di non urlare e se qualcuno dei 'nuovi' sostiene di non aver fatto niente nel magari apostrofare una donna con epiteti di certo non lusinghieri, sono gli altri a far notare loro che anche quella è violenza. Proprio qualche giorno fa – racconta Carchesio – uno di loro durante uno degli incontri psico-educativi ci ha detto che grazie a noi ha capito che già solo quei comportamenti sono violenza e che oggi, quando anche sente l'istinto di urlare o insultare, si trattiene proprio perché sente che sta facendo qualcosa che non deve fare”.

È bene ricordare che non parliamo di una malattia da cui guarire, ma di un comportamento derivante da una cultura patriarcale che va eliminato e per farlo serve consapevolezza, così come è giusto sottolineare che scopo del Cam non è dunque quello di "guarire" nessuno perché nessuno è malato, ma quello di ridurre il rischio la recidiva e cioè far sì che chi la violenza la compiuta non si macchi nuovamente dello stesso reato. Cosa possibile, appunto, solo se si comprende la gravità del proprio comportamento.

Confermato il sostegno dell'amministrazione al Centro di ascolto per uomini maltrattanti e nello specifico dell'assessorato alle politiche sociali guidato da Adelchi Sulpizio e la prossima settimana, come accennato, un nuovo “impegno” per i coordinatori del centro. “Stipuleremo un protocollo d'intesa con la questura così che quando un uomo per comportamenti che fanno riferimento alla violenza delle donne verrà ammonito a seguito della denuncia della vittima, gli si consiglierà vivamente di frequentare un Cam”. L'auspicio è che ciò avvenga così che si possa andare ad intervenire nei casi apparentemente meno gravi, ma che possono diventare l'anticamera di comportamenti ben più pesanti.

Un anno quello del Centro fatto anche di tanti incontri tenuti nelle scuole e di gruppi di ascolto all'interno del carcere di Pescara con gli uomini che scontano pene per reati compiuti verso le donne con quello di Vasto che ora si aggiungerà.

Cinzia è l'unica donna all'interno del Centro di ascolto uomini maltrattanti che partecipa alle sessioni di gruppo (altre colleghe come lei si occupano anche dei colloqui individuali) e alla luce di quanto ci racconta tracciando un bilancio positivo dell'attività fin qui svolta, le chiediamo con un po' di curiosità come questi uomini che proprio verso le donne hanno sfogato la loro violenza, si rapportano con lei: “non mi sono mai sentita discriminata nei gruppi di ascolto sebbene quando parlano delle loro compagne tendono a fare scivoloni sul tema, ma mai alcun riferimento alla mia persona. Certo è che soprattutto nei colloqui individuali, ma anche nelle sedute di gruppo, tendono a riferirsi sempre all'uomo come se avesse una maggiore autorevolezza senza però per questo avere atteggiamenti di spregio o discriminatori, come detto, nei miei confronti”.

D'altra parte quella portata avanti dai professionisti del Cam è una battaglia verso una cultura che vede l'uomo al centro del contesto economico e sociale. Non tutti gli stereotipi possono essere cancellati in un attimo, ma già che il lavoro portato avanti nel centro stia facendo emergere come prendere consapevolezza del proprio errato comportamento sia possibile negli uomini che la violenza la compiono, è un risultato importantissimo.

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