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Trentuno anni di emozioni e ricordi passati a fronteggiare emergenze: il vigile del fuoco Enio Salle va in pensione

Ha portato un sorriso in luoghi di dolore, salvato vite e tenuto vivo l'entusiasmo che sin da ragazzino lo ha spinto a dedicare la vita agli altri: ha anche guidato il Saf (nucleo speleoalpinofluviale) e ora che toglie la divisa si racconta

In trentuno anni di eventi tragici ne ha visti tanti, ma proprio in quei luoghi in cui ha visto la morte ha portato speranza e vita.

Si chiama Enio Salle e dopo 31 anni passati nei vigili del fuoco per lui è arrivato il momento di godersi la pensione. Enio c'era nelle Marche e in Umbria quando nel 1997 ci fu il terremoto; c'era a San Giuliano di Puglia nel 2022 e c'era anche in occasione dell'alluvione di Sarno del 1998, del terremoto dell'Aquila nel 2009 e a Rigopiano nel 2017. Ha prestato servizio nel nucleo elicotteri e ha coordinato il Saf (nucleo speleoalpinofluviale), fondamentale negli interventi di condizioni estreme.

Autista del comando provinciale di Pescara a 60 anni lascia la divisa, ma l'animo è sempre quello di quel ragazzino che ha scelto di aiutare gli altri, regalando un sorriso anche in mezzo all'orrore e con quel sangue freddo che per fare il vigile del fuoco non deve mancare. La sua storia l'ha raccontata all'Ansa e merita di essere raccontata per capire quanto il lavoro di questi uomini sia importante per tutti noi.

“Avevo conseguito la patente D-E durante il servizio militare in Marina a Taranto, al comando Sommergibili, quindi quando sono diventato Vigile del fuoco ho cominciato come autista di tutti i mezzi di soccorso, dall'autobotte all'autoscala - racconta -. Mi sono occupato di formazione alle scuole centrali dei vigili del Fuoco, poi nel polo didattico delle Marche e a Pescara dove sono diventato coordinatore provinciale Saf”. E ancora grazie al titolo, conseguito a Lamezia Terme (Catanzaro, di direttore delle operazioni di spegnimento, si è occupato dei vasti incendi che negli ultimi anni hanno funestato l'Abruzzo, da Passolanciano a Campli a Castiglione Messer Marino.

Allenamento, concentrazione, istinto, sono tutti importanti per un vigile del fuoco, spiega. “Non siamo supereroi. Nei momenti difficili abbiamo bisogno di pensare sempre che la nostra è una missione”. Se ne va con il grado di capo reparto e la sua assenza sicuramente si farà sentire: “non nascondo che ancora non mi rendo conto, ma spero di aver trasmesso la mia esperienza a tutti i giovani ai quali ho fatto formazione”, afferma.

Tanti i suoi ricordi, ma tra questi uno è per lui incancellabile: il recupero di un peschereccio e un legame indissolubile con l'uomo che ha salvato. “Ero libero dal servizio, mi chiamarono dal nucleo elicotteri, dove sono stato tra il 2008 e il 2012. Dovevamo partire prima dell'alba, la capitaneria ci aveva chiesto di recuperare da un peschereccio, 45 miglia al largo di Termoli, il comandante che aveva avuto un infarto. Un'operazione che di solito si fa in due, ma mancava un collega – ricorda Enio -. Partii allora con il comandante dell'equipaggio Igor Cicchelli, il copilota Luciano Troili, lo specialista Adriano Mancini e un medico del 118. Dopo cinquanta minuti di volo raggiungemmo il peschereccio sul quale dovevamo scendere col verricello, una distanza di 100 piedi, l'equivalente di 33 metri. La prima verricellata andò a vuoto, a causa del mare mosso e del vento, il pilota mi recuperò allora per una decina di metri, si spostò sulla prua e mi fece riscendere. A quel punto ho chiesto al marinaio di prendermi la punta del piede per farmi scendere, lo specialista fu bravissimo a capire che doveva mollare il verricello e si allontanò, poiché il flusso del rotore poteva dare fastidio. Rassicurai il comandante del peschereccio, Pasquale, che era cosciente, ma lamentava un dolore al petto, gli sistemai un imbrago di sicurezza e lo vincolai a me, richiamai l'elicottero e il tecnico di bordo mi rimandò giù il verricello. Risalimmo insieme i 30 metri, ma poco prima di arrivare Pasquale aprì gli occhi, si spaventò dell'altezza e mi strinse le braccia, impedendomi di aggrapparmi all'elicottero. Dopo un paio di minuti lì fuori, sospesi, riuscii a tranquillizzarlo, lo imbarcammo e il medico poté assisterlo, prima di trasportarlo in ospedale una volta atterrati a Pescara. Ecco, in quell'operazione ho veramente dato tutto me stesso – spiega -. Siamo rimasti legati a Pasquale e la sua famiglia che poco tempo dopo ci invitarono a Manfredonia a festeggiare. Difficilmente dimenticherò la tensione e l'emozione di quel salvataggio che senza un equipaggio valido e affiatato sarebbe stato difficile se non impossibile. Ancora oggi, quando vado a trovare i miei amici al nucleo elicotteri, ricordiamo insieme quella giornata”.

Un ricordo tra tanti ricordi: il suo certamente in chi lo ha incrociato in questi 31 anni resterà.

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