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L'ombra dello stalking dietro l'aggressione in palestra: ecco perché è un reato grave e molto pericoloso

Cinzia Carchesio, una delle coordinatrici del Cam: "Non si sentono uomini violenti e questo è un grande problema, potenzialmente si è davanti ad un'escalation di pericolosità, la recidiva si riesce a ridurre e in questo senso la gravosità delle pene conta molto"

Ci sarebbe una storia di stalking dietro l'aggressione consumatasi dentro una palestra di Pescara ai danni di una 25enne.

Il presunto autore è un 50enne cui è stato contestato il “codice rosso”, normativa grazie alla quale sono state inasprite le pene per i reati di violenza domestica e di genere. Se sui fatti a fare luce sarà la giustizia, la vicenda è lo spunto per parlare di un reato che agli onori delle cronache finisce quasi sempre quando si conclude nel modo peggiore: la violenza fisica. Ma lo stalking non sempre sfocia nell'aggressione e questo potrebbe farlo percepire come un reato “meno grave”. Così non è, anzi, è forse uno dei comportamenti più pericolosi di cui ci si ritrova ad essere vittime e la ragione è anche socio-culturale: ecco perché insegnare il rispetto dell'altro sin da ragazzi è un passaggio fondamentale. A spiegarlo a IlPescara è Cinzia Carchesio, una delle coordinatrici del Cam (Centro di ascolto per uomini maltrattanti) di Pescara. Cam che è riferimento per il “codice rosso” con quello di Pescara che, al momento, ha in carico diverse persone cui è stato contestato il reato di stalking. In premessa va ricordato che compito del Centro non è quello di accertare eventuali patologie psicologiche, ma quello di ridurre il rischio di recidiva. Rischio che si riesce a ridurre, sottolinea spiegando che le persone prese attualmente in carico non hanno reiterato il comportamento, ma a pesare in questo senso è molto anche il timore della pena per un reato che, chi lo compie, difficilmente accetta come tale.

Sono proprio gli stalker, e parliamo dei casi in cui l'aggressione fisica non c'è, quelli con cui è più difficile intraprendere il percorso previsto dal Cam, spiega Carchesio. “Non si riconoscono come violenti. Per loro stalkerizzare una persona non è violenza. Ti dicono che magari sì hanno insistito con una telefonata in più, che l'hanno seguita, ma che mai hanno alzato un dito, che mai hanno picchiato. Per loro è lecito quello che fanno, non sono in grado di metabolizzare perché associano la violenza all'usare le mani o peggio. Fanno fatica, in sostanza, a riconoscersi come uomini violenti. Spesso ti elencano le cose che hanno fatto, quelle che ritengono 'positive' come cambiare la gomma di un'auto, prestare dei soldi e così via. Gesti fatti nei confronti delle persone di cui diventano stalker”. Nonostante si riesca in qualche modo ad evitare che perseverino nel comportamento, parlare di vera e propria presa di coscienza è dunque difficile: “spesso, anche quando non proseguono nell'atteggiamento persecutorio, continuano a banalizzare”, precisa Carchesio. Ecco perché in casi come questi la giustizia ha un peso importante e aver inasprito le pene è un deterrente che si fa sentire su chi neanche si sente colpevole e dunque ragiona secondo un criterio che si può sintetizzare in un “non peggioriamo le cose”. “Spesso e volentieri – conferma la coordinatrice del Cam – è proprio l'intervento della giustizia che li blocca. La condanna fa paura. Quando ci si trova a lavorare in gruppo, sentendo gli altri che parlando delle aggressioni fisiche perpetrate, riportano subito la loro esperienza proprio per sottolineare che loro violenza non ne hanno fatta. Non accettano il paragone. Ci mettono molto più tempo a prendere consapevolezza di essere, in realtà, uomini violenti e dunque anche più tempo ci vuole perché quel rischio di recidiva si concretizzi”.

Non sempre, anzi forse nella maggior parte dei casi, lo stalking che è una forma di violenza psicologica devastante per chi la subisce, sfocia nell'aggressione dunque, ma “potenzialmente è un'escalation e quando capita la colpa è sempre della donna che in qualche modo, questo pensano, li ha provocati. 'Le ho dato uno schiaffo perché lei', ti dicono. Ecco perché è anche un problema socio-culturale fortemente radicato in una mentalità dall'impronta fortemente maschilista. E' la stessa ragione – conclude – per cui lavoriamo molto nelle scuole. I ragazzi sono più plasmabili, con loro una certa mentalità può non attecchire. D'altra parte a dimostrare che è un problema che viene da una cultura radicata nel passato – conclude – lo dimostra il fatto che l'età media degli uomini maltrattanti è alta, parliamo spesso di persone sui 50 anni”.

Insomma, al di là del quando certe vicende finiscono agli onori delle cronache perché la violenza psicologica sfocia in quella fisica, lo stalker, anche quando aggressioni non ne compie, resta un soggetto potenzialmente pericoloso che nei suoi comportamenti non riesce a vedere niente di sbagliato e questo, forse, è quello che fa ancora più paura.

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