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Sabato, 20 Aprile 2024
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Immagini violente su web e social, la psicologa Iezzi: "Chiediamo sempre ai nostri figli cosa ne pensano"

Fermare il flusso di informazioni è impossibile, le immagini del tentato omicidio a Casa Rustì lo dimostrano, ma come bisogna comportarsi con i bambini e gli adolescenti perché capiscano la differenza tra reale e virtuale? Proviamo a dare una risposta

Il tempo passato davanti a cellulari e pc dai bambini e dagli adolescenti è aumentato del 67 per cento da quando è arrivata la pandemia. Lo dice l'indagine dell'Istituto Piepoli “Cyber-risk e pandemia” che sottolinea come l'87 per cento dei genitori interpellati abbia riscontrato effetti negativi sui figli, soprattutto la perdita del contatto fisico con gli altri (il 52 per cento), la perdita di contatto fisico con la realtà (il 45 per cento) e la riduzione dell'attività fisica (il 44 per cento). Non solo, è aumentata la solitudine tra gli adolescenti, lo stress e sono aumentati anche i disturbi psicologici. Se da una parte viene riconosciuto che per molti la tecnologia è stata anche lo strumento per mantenere relazioni sociali, i numeri che emergono ci dicono chiaramente quante informazioni, ogni giorno, i nostri figli vedono passare su web e social.

Non sono escluse, da queste, le immagini di violenza. Siamo partiti proprio da questo e nello specifico dal video delle telecamere di sorveglianza di Casa Rustì, il locale di piazza Salotto dove il cuoco 23enne Yelfry Guzman è stato ferito gravemente da quattro dei cinque colpi di pistola che lo hanno raggiunto perché, sembra essere questa l'assurda motivazione, gli arrosticini non erano ben salati. Un video che praticamente tutti hanno visto. Un video innegabilmente violento. Come violenti lo sono quelli che arrivano dall'Ucraina e che vediamo quotidianamente sul web, in televisione e sui social. Quanto essere continuamente esposti a immagini come queste influisce sullo sviluppo dei ragazzi? Come si può con loro affrontare certi temi? Soprattutto, lo si deve fare? Tante le domande che ci si possono porre e che abbiamo deciso di rivolgere a Margherita Iezzi psicoterapeuta psicoanalitica per bambini adolescenti e famiglie, docente dell'università d'Annunzio e membro Aippi (Associazione italiana di psicoterapia psicoanalitica dell'infanzia, l'adolescenza e la famiglia).

L'IMPORTANZA DI CREARE UN FILTRO TRA CIO' CHE E' REALE E CIO' CHE NON LO E'

Partendo dall'assunto che fermare il flusso di informazioni è impossibile e che ormai il cellulare è uno strumento che i ragazzi padroneggiano sin da piccoli con quelli di 10-11 anni che spesso ne hanno già uno e lo portano anche a scuola, interfacciarsi con loro per genitori e insegnanti diventa imprescindibile. Se i più piccoli, sottolinea Iezzi, andrebbero protetti completamente dal vedere immagini come quelle dell'aggressione avvenuta in piazza Salotto o quelle che arrivano dall'Ucraina e cioè non dovrebbero proprio averne l'accesso, quando ciò è inevitabile perché si tratta di ragazzi più grandi, parlare con loro è una priorità perché, sottolinea Iezzi, “a volte ci sono anche correlazioni tra l'esposizioni a immagini violenti e comportamenti disturbanti distruttivi e a volte disfunzionali. Queste immagini violente a volte ti restano come un pasto non digerito”, ma soprattutto “più c'è un'esposizione alla violenza come nel caso di questo video, più il bambino diventa meno capace tra violenza virtuale e quella della vita reale”.

La cronaca, anche in questo caso, ci racconta di fatti tragici come i giochi violenti partiti dai tik-tok che in alcuni casi si sono tradotti anche nella morte di ragazzi che si affacciavano all'adolescenza. I bambini e i ragazzi non vanno lasciati soli e già solo se si ha il sospetto che possano aver visto dai loro smartphone scene violente, magari con i compagni di scuola o con gli amici con cui passano i pomeriggi, il tema va affrontato. Serve una “decodificazione – spiega ancora Iezzi -. Non è facile avere il controllo perché oggi i telefoni li portano anche a scuola. Serve però la mediazione dell'adulto perché non si può certo chiuderli in una bolla”.

AFFRONTIAMO IL PROBLEMA E PER PRIMA COSA CHIEDIAMO "COSA NE PENSI?"

“Cosa ne pensi?” è questa la domanda da cui dobbiamo partire, spiega la psicologa e anche se la risposta non è quella che ci aspettiamo, è diversa dalla nostra opinione, l'atteggiamento deve essere quello di non chiudersi imponendo il proprio pensiero, ma di spingere i ragazzi a ragionare su ciò che vedono, a filtrare informazioni che possono anche non essere recepite al momento, ma che creano in lui quel pensiero critico che oggi inizia troppo spesso a mancare. La paura non è di certo la soluzione e neanche la negazione. 

Come ci racconta lei stessa dopo quanto avvenuto domenica in piazza Salotto alcune madri le hanno detto che non avrebbero più fatto uscire le figlie adolescenti da sole perché temono i pericoli che possono correre. Non sarà questo a proteggerli. I ragazzi, come tutti, hanno il diritto di vivere e scoprire il mondo, ma avere qualcuno che parli con loro, che filtri ciò che vedono sui loro telefoni e i loro pc, diventa ancora più importante. Quando avvengono episodi come quello di domenica, o si vedono immagini tragiche che arrivano dall'Ucraina come quella della bambina con le coordinate scritte sulla schiena nuda, i ragazzi vanno “rassicurati”. Nel caso di Yelfry Guzman bisogna spiegare loro cosa è accaduto, bisogna far sì che percepiscano ciò che è reale rispetto a ciò che vedono in un videogioco, fargli capire che ciò che è accaduto non è la normalità. E' necessario che sia dato un senso alle immagini che vedono e perché un senso ce l'abbiano serve filtrare, confrontarsi, parlare con loro.

DARE SEMPRE IL BUON ESEMPIO 

Purtroppo, sottolinea Iezzi, l'aumento della dipendenza dal web è cresciuto molto anche negli adulti: sarebbe percepito come paradossale rimproverarli se poi si è i primi a passare ore davanti al proprio smartphone. Se sono loro i primi a vivere il mondo con “persecutorietà” anche i ragazzi lo vivranno così. Un ruolo complesso perché affrontare certi temi facile non è tanto che sta mettendo in difficoltà anche gli insegnanti, come ci spiega la Iezzi. Insegnanti non sempre si riescono a far rispettare quelle circolari che impongono di tenere spento lo smartphone nelle ore scolastiche.

Avere autorità non vuol dire imporla, in sostanza, ma far capire il perché ci sono delle regole e perché vanno rispettate. C'è poi un'altra cosa che va spiegata ai ragazzi: la rete ha memoria. Tutto quello che si pubblica, tutto quello che si commenta resta. Non si può scrivere tutto ciò che ci passa per la mente, perché quello che scrivi oggi “potrebbe crearti un problema domani”, sottolinea la psicologa. Un tema che si lega molto al fenomeno del cyberbullismo, ad esempio. Un tema, quello del contenersi nel commentare foto e video che, a onor del vero, spesso dimenticano anche gli adulti. Spiegare e controllare l'uso che i nostri figli fanno dei loro telefoni è la strada da percorrere.

IL FENOMENO DEL VAMPING E I DISTURBI ALIMENTARI: QUANDO CHIEDERE AIUTO

L'uso eccessivo del telefono senza che vi sia un filtro può portare a vere patologie nei ragazzi e ci conferma Iezzi sono aumentati quelli in cura per disturbi legati all'uso degli smartphone con l'ultimo dei fenomeni legato ai disturbi del sonno legati al cosiddetto vamping: l'uso notturno del telefono. “Vanno a dormire, ma in realtà continuano a navigare, a chattare, a rispondere ai messaggi. Se ci si accorge che certi comportamenti diventano difficili da gestire allora c'è una dipendenza e bisogna chiedere aiuto”. Il rischio è che “si sviluppi così tanta dipendenza da un oggetto da non far più riferimento alla tua mente, ma ai contenuti del telefono”.

Non è dunque un caso che, lo dicono i dati della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare, che questi durante la pandemia sono aumentati del 40% negli ultimi 19 mesi e cioè da quando c'è la pandemia, con l'età di esordio scesa in maniera impressionante: il 30% di quelli che ne soffrono hanno meno di 14 anni e sono soprattutto i maschi tra i 12 e i 17 anni. Il compito dei genitori dunque è quello di controllare e gestire, senza spaventare, ma aprendosi ad un confronto certamente non facile con i propri figli perché crescendo siano capaci di distinguere ciò che è vero da ciò che è virtuale, ciò che risponde ad un comportamento sociale corretto da ciò che non lo è.

E' impossibile pensare che ciò che si vede non abbia un'eco nella loro mente, conclude Iezzi, ma quella domanda “cosa ne pensi?” è il primo passo per far sì che abbiano tutti gli strumenti per fare della tecnologia il miglior uso possibile perché il vero nemico è proprio questo: l'uso che se ne fa non lo strumento.

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