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Veder morire il padre nel reparto di Geriatria ai tempi del Covid, lettera aperta di un volontario del soccorso

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Franco Pomponio, da 13 anni volontario del soccorso, che racconta «la terribile esperienza nel reparto di Geriatria ai tempi del Covid»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di un nostro lettore, da 13 anni volontario del soccorso, che racconta «la terribile esperienza nel reparto di Geriatria ai tempi del Covid».
La missiva è intitola: "Nessuno è ultimo".

Questo il testo della lettera aperta:

«Sono qui da solo nel mio letto. Non vedo nessuno attorno a me… non capisco cosa mi stia succedendo… non riconosco il posto in cui sono, non ho mia moglie accanto, né i miei figli, né i miei nipoti… ricordo solo di essermi sentito male. Ma ora mi sento meglio. Ecco… è arrivata mia moglie. Mi sta dicendo che ho avuto un ictus, ma che è andato tutto bene. Mio figlio mi sta spiegando che c’è un virus che gira che si chiama Covid ed è per questo che non potranno venire ogni giorno a trovarmi, che in ospedale ci sono regole rigide che impediscono ai familiari di rimanere con i pazienti ricoverati, anche se questi non sono autosufficienti. Ma io ho bisogno di mia moglie, è lei che si occupa di me, è il mio punto di riferimento… senza di lei non posso vivere… Mi hanno spiegato anche che ora sono in ospedale, ma tra qualche giorno tornerò a casa e, oltre alla mia solita terapia dell’Alzheimer, dovrò proseguire quella che inizierò qui. Ora i miei cari sono dovuti andare via, è finito il tempo delle visite. Mi appisolo un po’ e mi sveglio all’improvviso, non vedo nessuno al mio fianco e provo un senso di paura. Ma dove sono? Cosa è successo? Inizio a sbattere le mani sulla sbarra del letto e chiamo mia moglie, ma non c’è, non c’è nessuno, arriva una donna intuisco che è un’infermiera dalla divisa che indossa. Mi somministra un farmaco e mi addormento. Dormo, dormo, dormo di continuo, le mie forze mi stanno abbandonando. Ho ancora un po’ di fame, ma nessuno mi viene a imboccare anche se hanno appoggiato il vassoio per me sul mio comodino, non ho le energie per mangiare da solo come facevo a casa, passano i giorni e io mi sento stanco non ho più la forza neanche di aprire gli occhi sento persone che si lamentano attorno a me, ma nessuna voce familiaree poi poi più nulla».

«Conosco bene mio padre e questa malattia degenerativa che è l’Alzheimer non gli avrà consentito di capire cosa stesse succedendo intorno a lui. Per i malati come lui perdere improvvisamente i propri riferimenti, le proprie abitudini, i volti dei propri familiari per essere catapultati in una realtà completamente sconosciuta e minacciosa è letteralmente devastante! Quelle poche volte che siamo riusciti a entrare, venti minuti ogni due giorni, ci poneva sempre le stesse domande, si aggrappava disperatamente a noi, non voleva che andassimo via, ogni volta, con il cuore in gola, provavamo a spiegargli che non saremmo potuti rimanere al suo fianco perché c’erano delle regole, ma come si fa a spiegare a un malato di Alzheimer una regola che sfugge a qualunque logica umana? All’inizio eravamo comunque fiduciosi, tornavamo a casa con la speranza di riportarlo il prima possibile a casa con noi, poi, con il passare dei giorni, non riuscivamo neanche più a parlare con lui. Da tredici anni sono volontario del soccorso e la nostra mission è che “nessuno sia lasciato solo”. Mettiamo il cuore in ciò che facciamo. Ho sempre pensato che chi lavora nel settore sanitario lo faccia con passione e dedizione. Ho incontrato, durante i miei servizi, personale qualificato con cui ho stabilito un rapporto di reciproca stima e fiducia. Questo mi ha portato a fidarmi e ad affidare con serenità mio padre al reparto di geriatria, ma nel giro di pochi giorni l’ho visto spegnersi davanti ai miei occhi senza poter fare nulla. I medici ci tranquillizzavano, ci dicevano che non potevamo vederlo, nonostante le nostre richieste e la disperazione di mia madre che più volte aveva chiesto di fare anche lei il tampone per rimanere vicino a mio padre in sicurezza, ci ripetevano che era comunque stabile, stabile fino alla morte, avvenuta in circostanze ancora da chiarire, sicuramente nella più totale solitudine. So che ormai mio padre non tornerà più indietro, ma vorrei che nessuno sia più lasciato solo nei momenti di difficoltà, magari facendo fronte all’emergenza Covid con un massiccio aumento di personale sanitario e ponendo una maggiore attenzione alle singole esigenze dei pazienti. Spero che questa tragica esperienza funga da monito per alcuni. Come volontario mi sento demoralizzato, demotivato e provo tanta rabbia. Non so se continuerò il mio impegno nel sociale perché per me nessuno è ultimo e tutti hanno lo stesso diritto alla vita, a prescindere dall’età o dalla propria patologia».

Lettera firmata

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