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Le sculture realizzate dai residenti di Rancitelli come simbolo di rinascita attraverso cui raccontare e raccontarsi

Si è concluso il laboratorio organizzato nell'ambito del progetto di riqualificazione urbana del Murap festival: 20 le opere realizzate che ora verranno ollocate nel nuovo recinto del Parco della Speranza

“Un’esperienza che ha messo insieme voglia di partecipare, di socializzare, di realizzare la propria personalità attraverso la creatività, anche quando non si dispone di strumenti tecnici e di competenze artistiche”.

Con queste parole Alessandro Sonsini, direttore artistico di Murap Festival, ha definito il laboratorio che nell’ambito delle attività previste dal programma di Muri per l'arte pubblica a Pescara (Murap appunto), ha permesso di realizzare venti manufatti scultorei realizzati da altrettanti abitanti del quartiere Rancitelli, opere che verranno collocate nel nuovo recinto del Parco della Speranza previsto dal progetto di riqualificazione urbana. Risultati presentati nella scuola don Milani di via Sacco. Opere realizzate anche da persone con fragilità psicofisiche, portatori di handicap e due detenuti autorizzati dall'ente carcerario.

“Per la prima volta abbiamo fatto un'operazione di riqualificazione urbana dove chi vive nel quartiere è diventato protagonista, una vera comunione di intenti, opere pubbliche, sociale e arte, insieme per migliorare la città”, dichiara il sindaco Carlo Masci. “Attraverso questo progetto – aggiunge l'assessore comunale alla cultura Maria Rita Carota - l’amministrazione comunale ma anche l’intera città hanno vinto una sfida che all’inizio sembrava difficile. Il merito di questo laboratorio è stato proprio quello di far emergere o riemergere persone, vissuti spesso difficili. L’amministrazione sta investendo molto sulle periferie e sulla cultura come fattore importante di inclusione. E questo laboratorio è nato dalle periferie urbane. Oltre al merito artistico, è proprio il profilo di interesse sociale che va sottolineato”. Un progetto accolto con favore anche da Ottorino La Rocca, vicepresidente della fondazione Aria che ha sostenuto e finanziato il progetto insieme al Comune e Maria Concetta Falivene, garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza. “Questo tipo di intervento permette di attenuare quella sensazione di solitudine e di disagio che spesso attanaglia fasce e gruppi sociali che abitano quartieri e aree difficili, come mi pare sia in questo caso, restituendo quella sensazione di pienezza e di recupero di umanità – dichiara Falivene -. Molte mamme, le famiglie di molti ragazzi spesso mi fanno capire però che senza interventi economici è ben difficile cogliere risultati significativi. Questo è un inizio, è un progetto che saluto con favore perché spinge a riprendere quella consapevolezza della difficoltà in cui ci si è dibattuti nel contrastare il disagio e l’emarginazione. Mi auguro che possa continuare anche in futuro”. Per il presidente della fondazione Dante Marianacci “si può parlare di miracolo. Se si pensa che gli autori di questi manufatti non avevano competenze specifiche. È il risultato della grande volontà dei ragazzi ma anche degli istruttori che li hanno eseguiti. È anche un risultato che, come Fondazione Aria, ci riempie di soddisfazione, perché tra i nostri obiettivi vi è proprio quello di favorire l’emersione del “bello”, quindi di riqualificare aree della città ove più è necessario migliorare la vita delle persone”.

Tutor, insieme a Sonsini, anche Vincenzo Marletta e Luigia Maggiore. “Si è trattato di fare appello a qualcosa che ognuno di noi ha dentro di se, ossia quel bambino inespresso che è riemerso prima che lo stereotipo che c’è intorno a noi si appropri di queste capacità – afferma quest'ultima -. Ho impostato questo laboratorio come un gioco sapendo che avevo con me persone, adulti e ragazzi, che non avevano mai fatto alcuna esperienza di tipo artistico. Questi sono lavori espressivi, perché gli autori hanno descritto in essi parte di se stessi, in una manifestazione individuale ma anche corale. Ognuno quindi si riconosce nel proprio lavoro e questo è un grande risultato”. Ogni lavoro, una volta completata la fase della colorazione dei bassorilievi di ogni singola realizzazione, avrà impresso un Qr-code che consentirà all’osservatore di poter leggere la storia che vi è dietro ognuna di queste opere, quindi di conoscere meglio le persone che si sono raccontate attraverso di esse come quella di uno dei due detenuti che a La Rocca, riferisce lui stesso, ha confidato “che pagare per i propri errori è giusto ma lo è altrettanto partecipare, cercare interiormente di recuperare il proprio equilibrio pur vivendo in detenzione. E questa occasione è per me una grande fortuna”.

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