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Sentenza Rigopiano, l'avvocato Reboa sulle motivazioni: "La formula dei capi di imputazione ha portato a molte assoluzioni"

Per il legale di parte civile che nel lungo processo ha rappresentano diverse famiglie delle 29 vittime della tragedia vengono confermate le sue dichiarazioni rilasciate "a caldo". Per lui la procura dovrebbe "rivedere la posizione di alcuni soggetti". Già a lavoro per l'appello

“Osservo come, purtroppo, una sommaria lettura delle circa 300 pagine della sentenza del dottor Gianluca Sarandrea confermi le dichiarazioni che ho rilasciato a caldo, cioè che molte assoluzioni derivano dalla formulazione dei capi d'imputazione da parte della procura della Repubblica di Pescara, che non hanno superato il vaglio dibattimentale”. Queste le parole con cui l'avvocato Romolo Reboa, difensore di parte civile di diverse famiglie delle 29 vittime di Rigopiano, commenta all'agenzia LaPresse le motivazioni della sentenza del gup che ha portato all'assoluzione di quasi tutti i 25 imputati. 

“A mio avviso emerge anche la fondatezza del mio ragionamento – continua il legale – per cui la procura dovrebbe riesaminare la posizione di altri soggetti, anche sulla base delle considerazioni fatte dal magistrato giudicante, ad esempio per meglio verificare chi avesse il potere decisionale reale su posizionamento ed uso delle turbine, ovvero con riferimento a quanto dallo stesso scritto sul concorso nel reato del proprietario anche se non committente nel caso in cui lo stesso abbia piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere eseguite in assenza di titolo abilitativo da parte del coimputato”.

“Con riferimento alla tempestività dei soccorsi, quantomeno con riferimento sia alla gravità delle lesioni di chi è sopravvissuto che del decesso 'avvenuto qualche giorno dopo la valanga a seguito di una crash sindrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfittico' – dichiara ancora Reboa - il gup ha ritenuto che, creando un'equivalenza tra colpa e posizione di garanzia, si avrebbe un principio di presunzione della colpa, esistente nel diritto civile, ma estraneo al diritto penale. Sottolineo tale passaggio della sentenza in quanto a mio avviso la stessa lascia emergere degli elevati profili di responsabilità civile della Regione Abruzzo che ha omesso di redigere la Carta delle valanghe prima della sua approvazione da parte della giunta Marsilio. Quantomeno, ad una prima lettura mi lascia viceversa perplesso il ragionamento seguito dal magistrato con riferimento alle responsabilità del sistema di protezione civile, considerato che il metodo Augusto imponeva ai vertici l'esecuzione di azioni anche in presenza dell'incapacità del territorio di farvi fronte”, precisa.

Probabilmente, conclude, “un più approfondito esame della decisione consentirà d'identificare ulteriori elementi utili per la redazione di un appello nell'interesse degli assistiti da parte degli avvocati del Reboa law firm; ciò che è certo che, da parte dei difensori, i familiari delle vittime non saranno lasciati soli”.

Il processo si è svolto con rito abbreviato. Con la sentenza del 23 febbraio non è stata riconosciuta l'ipotesi accusatoria più grave e cioè il disastro colposo. Spetterà ora alla procura presentare l'eventuale ricorso in appello. Ricorso per cui il team del legale di parte civile sta già lavorando.

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