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Martedì, 23 Aprile 2024
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Si licenzia perché vittima di mobbing, ma per l'assicurazione sono dimissioni volontarie: niente indennizzo

Ma nonostante quanto subìto la 48enne non ha nemmeno ricevuto l'indennizzo dell'assicurazione per aver perso il posto di lavoro

Dopo oltre un anno di vessazioni di ogni genere subite sul lavoro e ritenendo di essere vittima di mobbing una donna di 48 anni di Spoltore si è licenziata da una ditta della provincia di Pescara nella quale era stata assunta.
Ma nonostante quanto subìto la 48enne non ha nemmeno ricevuto l'indennizzo dell'assicurazione per aver perso il posto di lavoro.

La donna aveva infatti stipulato una polizza assicurativa che la copriva anche in caso di perdita dell’impiego.

Ma per la compagnia la donna non è ha diritto perché considera il suo licenziamento dimissioni volontarie. A raccontare la vicenda è lo Studio3A-Valore Spa (società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini) alla quale la 48enne si è rivolta tramite il consulente legale Mario Masciovecchio.

«La donna nel luglio 2019 trova un impiego e viene assunta a tempo indeterminato, come impiegata contabile, in un’azienda del Pescarese», si legge in una nota dello Studio 3A-Valore spa, «fin dai primi giorni però deve subire una serie di atti di mobbing dal datore di lavoro, che la obbliga anche a svolgere mansioni non rientranti nel suo contratto né nel suo inquadramento. La lavoratrice sopporta, sopporta, finché, il 29 luglio 2020, è oggetto di una violenta aggressione verbale del titolare, che urla e inveisce contro di lei rivolgendole espressioni offensive, minacciose e intimidatorie. La goccia che fa traboccare il vaso. La 48enne non ce la fa più e manda via Pec una missiva alla ditta censurando l’accaduto e riservandosi di proporre le opportune azioni in sede civile e penale a tutela dei propri diritti: lettera che però la ditta riscontra con una risposta dove disconosce i fatti denunciati e si riserva a sua volta di intraprendere azioni disciplinari. A quel punto la donna, con tutta la sofferenza di chi ha a lungo subito soprusi nel luogo di lavoro e sa anche quanto costi dover rinunciare a un posto fisso nella difficile situazione (anche) economica legata alla pandemia da Covid, il 30 luglio rassegna le sue dimissioni per giusta causa con effetto immediato chiedendo il pagamento degli emolumenti dovuti e il risarcimento dei danni patiti. Che non si tratti di un “capriccio” della dipendente lo testimonia il fatto che ne scaturisce una causa di lavoro per affrontare la quale la lavoratrice si appoggia anche al sindacato e che si chiude, avanti un conciliatore, con una transazione in forza della quale il datore di lavoro, ammettendo che il rapporto è cessato per dimissioni per giusta causa (e quindi, in qualche modo, anche le circostanze contestate), si impegna a pagare all’ex dipendente una cifra comprensiva di retribuzione dell’ultimo mese, competenze di fine rapporto, Tfr e indennità di preavviso, oltre ad un’ulteriore indennità transattiva, e ad effettuare tutti gli adempimenti necessari al riconoscimento dell’indennità di disoccupazione Naspi, prevista per i lavoratori che abbiano perso involontariamente il lavoro. La 48enne accetta, non avrebbe più potuto continuare a lavorare in quelle condizioni, ma si ritrova disoccupata. Per fortuna, però, aveva pensato di stipulare con una compagnia una polizza assicurativa che la copre anche in caso di perdita dell’impiego. Non si parla di grandi cifre, ma l’assicurata conta in quell’indennità, di cui ha diritto avendo regolarmente pagato il premio previsto, per poter vivere con un po’ più di sicurezza economica e serenità in attesa di superare la crisi da Coronavirus e di poter trovare un’altra occupazione. È dunque compressibile come le crolli il mondo addosso quando la compagnia si rifiuta di liquidarle l’indennizzo. La donna allora si rivolge a Studio3A che rinnova le richieste alla compagnia di ottemperare ai suoi obblighi, ma la risposta non cambia: la compagnia sostiene di non poter liquidare il dovuto in quanto la causa del licenziamento non sarebbe riconducibile a “giustificato motivo oggettivo, unico evento coperto dalla garanzia Perdita di Impiego, ma a dimissioni volontarie, evento espressamente escluso dalle Condizioni Generali di Assicurazione».

«Una risposta che lascia attoniti e che sa di pretesto, perché, come ha replicato con forza Studio3A alla compagnia, nel caso specifico la perdita dell’impiego va pienamente considerata come un giustificato motivo oggettivo, non potendo certo ritenere che la risoluzione del contratto di lavoro sia scaturita da una decisione “volontaria”, essendo stata indotta dal comportamento del datore di lavoro, come documentato dallo stesso verbale di conciliazione controfirmato dalle parti».

«L’effetto risolutivo», spiega Mario Masciovecchio, «va ricondotto a un atto di volontà del datore di lavoro, che ha coartato, attraverso i suoi comportamenti, le dimissioni della lavoratrice. E La Corte Costituzionale, in una sentenza del 2002, ha da tempo sciolto ogni dubbio in merito alla sostanziale equiparazione fra dimissioni per giusta causa e le cause di giustificato motivo oggettivo, avendo precisato che le dimissioni indotte da una causa insita in un difetto del rapporto di subordinato, così grave da impedirne persino la prosecuzione, comportano uno stato di disoccupazione involontaria. E proprio per tali ragioni il lavoratore dimissionario per giusta causa è ammesso a tutti i trattamenti di welfare previsti dal nostro ordinamento. Ma al di là del fatto che esso contrasta con tutti gli arresti giurisprudenziali, questo diniego appare del tutto inopportuno anche per le sue implicazioni sociali ed etiche, reputando come volontarie delle dimissioni date da una lavoratrice, donna, costretta, in tempi di crisi, a doverle rassegnare per le vessazioni subite dal proprio datore di lavoro».

Come prima cosa Studio3A invierà un formale reclamo all’Ivass, l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni, per denunciare il comportamento della compagnia, ma è pronto ad andare fino in fondo, anche per le vie legali, per riaffermare un diritto, quello delle dimissioni per giusta causa, non solo per la propria assistita, ma per tutti i lavoratori.

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