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Coronavirus, come l’emergenza ha modificato la nostra vita? Ecco alcune risposte

Ecco quanto ci spiega Stefano Pagliaro, professore associato in Psicologia Sociale nel dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’università degli Studi di Chieti-Pescara

Come cambia la vita ai tempi del contagio da Covid-19 (Coronavirus), questa pandemia che ci ha travolto stravolgendo le nostre giornate e le abitudini.
Lo abbiamo chiesto a Stefano Pagliaro, professore associato in Psicologia Sociale nel dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’università degli Studi di Chieti-Pescara, il quale ci ha spiegato cosa sta accadendo nella società italiana dal punto di vista psicologico e sociale.

In seguito alla diffusione del Covid-19 nel nostro territorio, Pagliaro, insieme a Maria Giuseppina Pacilli ed Eliana Vassena, ha contribuito ad avviare un progetto di scrittura di articoli divulgativi sulla rivista In-mind Italia nei quali psicologi sociali forniscono chiavi interpretative del fenomeno che stiamo vivendo.
Queste le sue risposte alle nostre domande:

Che cosa sta accadendo dal punto di vista psicologico-sociale in questo difficile momento in Italia?

"Le dinamiche che l’emergenza Covid-19 ha attivato dal punto vista psicologico-sociale sono molteplici. In primo luogo, le persone si sono trovate confinate in casa e hanno avuto, e ancora avranno, la necessità di ristrutturare completamente la gestione dello spazio, del tempo e della socialità. Questo aspetto induce necessariamente ansia in tutti coloro che sono abituati a vivere le proprie giornate, lavorative e non, al di fuori delle mura domestiche. In secondo luogo, la comunicazione continua e progressivamente più negativa sugli effetti del virus sulla popolazione italiana rende senza dubbio saliente la paura della morte, che molte teorie psicologico-sociali pongono alla base di fenomeni quali il nazionalismo e il pregiudizio. Si pensi ad esempio alle dichiarazioni del governatore Zaia che, durante i primi giorni della diffusione del virus in Italia, ricordava che la Cina stava pagando un prezzo alto a causa di condizioni igienico-sanitarie proibitive (“abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi vivi”, dichiarava il governatore). Questo aspetto è confermato da alcuni dati raccolti su circa 800 Italiani nei primi giorni di marzo, assieme a colleghi dell’università della Calabria, dell’università di Perugia e della Federico II di Napoli. Al tempo stesso, assistiamo a un sempre crescente sentimento di patriottismo, altro meccanismo di difesa che classicamente si riscontra durante i periodi di emergenza (ad es. dopo un atto terroristico), ma anche a un crescente sentimento di gratitudine nei confronti del nostro Sistema Sanitario Nazionale che potrebbe avere un effetto positivo sulla messa in atto di comportamenti pro-sociali nel futuro immediato".

Come gli italiani, e gli abruzzesi nello specifico, hanno reagito all’emergenza Coronavirus?

"In un primo momento, l’incredulità ha sicuramente avuto la meglio, insieme alla sensazione che si trattasse “poco più di un’influenza”. I comportamenti seguiti a questa banalizzazione dell’evento, anche in questo caso, rappresentano dei meccanismi di difesa che le persone tipicamente mettono in atto per nascondere a se stesse la possibilità di riconoscersi come vulnerabili. Nella nostra regione, poi, abbiamo impiegato più tempo a comprendere la pericolosità del virus, che nelle prime due settimane sembrava essere confinato tra Lombardia e Veneto. Piano piano si è presa coscienza della portata del fenomeno, abbiamo iniziato a riconoscere l’importanza delle misure restrittive adottate dal governo ed è cresciuta la fiducia nei confronti delle nostre istituzioni. Nella ricerca che citavo sopra, la percezione di fiducia nelle istituzioni svolge un ruolo cruciale nel ridurre l’ansia legata al contagio del Covid-19. D’altro canto, la letteratura scientifica pone la fiducia al centro di ogni relazione sociale, a maggior ragione nei contesti di gruppo. E’ su questa che il governo dovrebbe fare leva per favorire l’adesione alle restrizioni imposte, piuttosto che sulle possibili sanzioni. Sulla fiducia, e sul senso di un’identità condivisa".

È giusto dunque gestire l’emergenza dal punto di vista collettivo?

"Beh, se c’è una cosa che gli esperti della psicologia dell’emergenza ci hanno insegnato è proprio questa: si tratta di fenomeni collettivi, non individuali, che come tali devono essere gestiti. Ad esempio, Stephen Reicher e John Drury, due colleghi inglesi, ritengono che sia proprio quando le persone smettono di pensare in termini di "io" e iniziano a pensare in termini di "noi" che iniziano a coordinarsi, si sostengono a vicenda e assicurano che chi è in una condizione di maggior bisogno ottenga il massimo aiuto. Dunque, la comunicazione politica dovrebbe essere contestualizzata in termini di gruppo, anziché individuali, per ottimizzare le risposte delle persone. E dovrebbe favorire una narrazione positiva dei comportamenti di gruppo. Come ho avuto modo di scrivere di recente insieme a Maria Giuseppina Pacilli nel blog di In-Mind Italia, descrivere gruppi di persone comportarsi in un certo modo (ad es., rispettare le restrizioni imposte) rende quel comportamento normativo perché percepito come il più diffuso. La scelta di assumere un comportamento morale è molto influenzata dal contesto sociale nel quale siamo inseriti. Quel contesto sociale è anche quello virtuale raccontato dai media. Smettere di dare rilevo ai comportamenti poco orientati alla collettività raccontando invece un’Italia che resta a casa, che, sacrificandosi duramente, rispetta le regole è il miglior modo per proteggere la collettività. A quel punto non sarà solo una norma morale ma una norma legata a come la maggior parte delle persone si comporta ad essere rispettata".

In questi giorni la maggior parte delle persone sta utilizzando la tecnologia per superare l’isolamento sociale. Quale ruolo ha o può avere la tecnologia in questo momento storico?

"La psicologia sociale riconosce nel bisogno di appartenenza (a un gruppo, ad una collettività), una delle spinte motivazionali più importanti per l’essere umano. E in effetti, come sostiene Paolo Riva dell’Università Milano-Bicocca, l’isolamento sociale ha delle conseguenze molto negative sulla salute fisica e psicologica delle persone, che possono esperire una vasta gamma di emozioni negative, dalla tristezza alla rabbia, dalla colpa alla vergogna, dall’ansia al dolore. Va da sé che la situazione attuale è castrante rispetto alla soddisfazione di questo bisogno fondamentale ed è potenzialmente molto pericolosa. In questo senso, le tecnologie digitali, che molto spesso vengono additate come demoni in grado di interferire con la socialità delle persone (“a cena ha sempre il cellulare in mano!”), possono garantire un’àncora di salvezza a fronte dell’impossibilità di interagire di persona con gli altri, consentendoci di condividere la comune situazione di quarantena forzata e di esprimere le nostre emozioni".

Come affrontare i prossimi giorni di quarantena? Cosa consiglia?

"La situazione che si prospetta è molto incerta, come incerti sono i tempi in cui questa si risolverà. Dunque, bisogna sperimentare dei metodi per adattarsi positivamente a quanto stiamo vivendo. Scandire ad esempio dei tempi durante la giornata, evitando di ciondolare dalla sedia al divano, impegnandosi in attività lavorative e ludiche; non nascondere le proprie emozioni ma esprimerle, in quanto la soppressione delle emozioni ha effetti deleteri sulla salute fisica e psicologica. Non sentirsi da soli nell’affrontare il problema, ma parte di un gruppo sociale molto ampio, quella che definiamo umanità, e riporre fiducia nelle istituzioni che ci governano. Per tornare presto ad abbracciarci". 

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