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Domenica, 1 Ottobre 2023
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"D'Attanasio agli sgoccioli, rimpatriatelo", l'appello all'Italia di un medico della Papua Nuova Guinea per il pescarese detenuto

La lettera di un medico della Papua Nuova Guinea indirizzata all'Italia: "Potrebbe perdere la vita qui se l'Ambasciata italiana non interverrà"

«Carlo D'Attanasio è agli sgoccioli, rimpatriatelo, potrebbe perdere la vita qui se l'Ambasciata italiana non interverrà».
È quanto scrive in una lettera indirizzata all'Italia un medico della Papua Nuova Guinea, come riferisce l'AdnKronos, riguarda al pescarese detenuto in quel Paese da qualche anno.

«Esorto vivamente l'Ambasciata italiana a rimpatriare uno dei suoi cittadini, il signor Carlo D'Attanasio, in Italia il prima possibile», si legge ancora nella missiva, «come ho accennato in precedenza, l'adenocarcinoma colorettale è un cancro molto aggressivo e raccomando vivamente che il signor D'Attanasio venga rimpatriato in Italia senza indugio per motivi medici e umanitari. Le condizioni del signor Carlo sono giunte a uno stato critico, non sta bene e potrebbe perdere la vita qui in Papua Nuova Guinea se l'Ambasciata italiana non interverrà».

Questo il contenuto della lettera, visionata dall'Adnkronos, che il dottor Damien Hasola, primario dell'ospedale Paradise di Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, ha inviato all'Italia, la seconda indirizzata all'ambasciata italiana nell'arco di tre mesi, per chiedere il rimpatrio urgente di Carlo D'Attanasio, il velista di Pescara di 54 anni detenuto ormai da 32 mesi nel carcere in Papua Nuova Guinea, in Oceania, con l’accusa di aver fatto parte di una banda di trafficanti che avrebbe importato 611 chili di cocaina.

Il ministro agli Affari esteri Antonio Tajani ha firmato il 19 aprile scorso una richiesta di rimpatrio, «ma Carlo è ancora lì e sta morendo», il grido di dolore della compagna dell'uomo, Juanita Costantini, che con il figlio di 7 anni, il piccolo Enea, attende a Pescara che l'uomo rientri a casa, «vivo, per cercare di salvargli la vita, o almeno che venga a morire qui circondato dalle persone che lo amano», dice ancora Costantini. Un caso controverso quello dell’ex imprenditore pescarese, sempre dichiaratosi innocente ed estraneo alle accuse. A D’Attanasio, a inizio marzo, è stata diagnosticata una massa tumorale al colon che ora, stando all'ultimo referto medico, sta generando "l'ostruzione luminale del colon-retto al 99%", dunque avrebbe bisogno, scrive il medico che lo ha in cura, di un'intervento chirurgico immediato, "chemioterapia e radioterapia che richiedono un team multidisciplinare". «Il signor Carlo», si legge in un passaggio della lettera indirizzata a Roma, «ha assunto frequenti farmaci, vale a dire petidina, morfina e altri Fans. Nonostante questi farmaci, continua a soffrire di forti dolori a causa del cancro in crescita». Da qui, la richiesta di rimpatrio immediato, anche alla luce delle sofferenze dell'uomo, che «ha un forte dolore addominale costante che si irradia alla schiena, un continuo rilascio di feci sanguinolente ogni volta che va in bagno», scrive ancora il primario dell'ospedale.

«Nessuno ha fatto nulla, nel giro di pochi mesi la situazione è peggiorata tantissimo», denuncia Costantini, «Tajani ha firmato il rimpatrio, ma di fatto Carlo è lasciato lì a morire e gli manca davvero poco. Io voglio che torni, Carlo deve tornare». Oltretutto, dietro a questa vicenda, c'è anche l'amarezza per una diagnosi arrivata tardi, probabilmente troppo tardi. «Nonostante le sofferenze di Carlo, che vanno avanti da quasi due anni», racconta infatti la compagna dell’uomo, «la colonscopia, che doveva essere eseguita quando ha iniziato ad avvertire forti dolori, parliamo del 2021, è stata fatta solo a marzo scorso, quando il cancro misurava ormai 10 centimetri».

La vicenda di D’Attanasio inizia nell'estate del 2019, quando l'uomo decide di partire per compiere il giro del mondo in barca a vela in solitaria. Nel marzo del 2020 approda in Papua Nuova Guinea e decide di fermarsi per una sosta che si prolunga per 5 mesi, quando, in procinto di ripartire per portare a termine la sua impresa, un piccolo aeroplano si schianta sull’isola subito dopo il decollo. All’interno del velivolo la polizia rinviene 611 kg di cocaina, probabilmente destinati all’Australia.

Dopo una manciata di giorni vengono fermati tre papua guinesi e D’Attanasio, indicato come l’uomo che aveva portato sull’isola il carico di droga 5 mesi prima. Il capo d’accusa per lui è di traffico internazionale di stupefacenti. Dopo alcuni mesi, però, le accuse cominciano a vacillare, la stessa stampa locale inizia a dubitare della colpevolezza dell’italiano.

Eppure la situazione rimane in stand-by, il processo sottoposto a continui rinvii mentre D’Attanasio, costretto in una piccola cella fatiscente con altri detenuti, senza servizi igienici, inizia ad accusare malori continui, dolori lancinanti. Da qui la richiesta di essere sottoposto ad esami diagnostici, con tutti i ritardi del caso.

A inizio marzo, dopo un anno e mezzo di attesa, la colonscopia ha confermato i sospetti: l’uomo non sta bene, ha un tumore di 10 centimetri che va asportato immediatamente. Ad aprile Tajani firma la richiesta di rimpatrio, ma ad oggi ancora tutto è fermo.

“Deve tornare in Italia al più presto ed essere operato– dice Juanita, con la voce incrinata dalla disperazione – ogni giorno che passa la speranza che mio figlio possa riabbracciare suo padre si fa più flebile. E’ una lenta agonia, un incubo che va avanti ormai da 30 mesi.. La richiesta di rimpatrio ci aveva fatto sperare, ma ogni giorno diventa più dura per lui e per noi, che temiamo di vederlo rientrare in una bara. Eppure Carlo è un cittadino italiano, merita di essere aiutato, non può essere lasciato morire lì, sarebbe un’ingiustizia indegna di un Paese come il nostro...”.

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