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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Dopo sei mesi di coma si sveglia e torna a casa, la storia di Steven Polidoro è la storia di un dolore diventato speranza

Ha commosso tutti la vicenda del giocatore di rugby e meccanico 23enne che ha riaperto gli occhi nel Centro regionale del risveglio di Popoli voluto da Anna Verna e la sua famiglia perché la figlia Manuela continuasse a vivere e questa bellissima storia e il valore che ha ce lo racconta proprio lei

“Fare tutto con amore”. Questo Manuela Verna aveva scritto in una lettera per un'amica che attraversava un momento difficile. Lei oggi non c'è più, ma quella frase che mamma Annaha scolpito nel suo cuore è diventata il simbolo di un dolore che, nonostante sia incancellabile, ha saputo trasformare in forza e soprattutto in speranza. Una speranza da dare agli altri.

È da qui che bisogna partire per raccontare la bellissima storia di Steven Polidoro, il meccanico 23enne si è svegliato dopo sei mesi di coma. Condizione in cui era finito in seguito ad un bruttissimo incidente in moto avuto nell'agosto del 2022. L'arrivo disperato al San Salvatore dell'Aquila, un intervento difficilissimo e perfettamente riuscito, poi il trasferimento al Centro regionale del risveglio e la riabilitazione di Popoli intitolato proprio a Manuela. A riempire il suo silenzio la voce l'amore delle persone a lui più care, a cominciare da mamma Samantha e papà Francesco e la competenza dell'equipe medica di Carlo D'Aurizio. Loro, hanno raccontato alla stampa, ci hanno sempre creduto che alla fine Steven si sarebbe svegliato. Così è stato.

Steven è tornato finalmente a casa, a Camarda frazione dell'Aquila. Ad accoglierlo al bar del paese c'erano davvero tutti. I genitori, il fratello, la sorella, la fidanzata Alessia, l'attuale compagno della madre e tutti i cittadini. Tra loro c'era anche Anna, la mamma di Manuela che con suo marito quel centro lo ha voluto e che con la perseveranza e la gentilezza è riuscita a far sì che diventasse realtà. Manuela, scomparsa a soli 45 anni, era un'infermiera della Stroke Unit e il dramma del coma la sua famiglia lo ha vissuto così come ha vissuto il calvario di arrivare fino in Austria perché ricevesse le cure adeguate e con questo anche l'illusione della speranza. Sì, anche lei si era svegliata, ma alla fine un'emorragia le è stata fatale, ci racconta la madre. Un dolore inconsolabile che non ha però abbattuto questa donna minuta e dalla voce tanto rassicurante. “Il sorriso di Manuela”, il nome dell'associazione creata con il marito, voleva continuasse a vivere e così è stato.

“Abbiamo girato diversi ospedali in Italia, poi siamo arrivati fino in Austria in un centro di eccellenza e lì avevamo ritrovato tanta fiducia – spiega raccontando la sua storia -. Cognitivamente Manuela era tornata quasi alla normalità. La speranza era aumentata, poi una nuova emorragia se l'è portata via. A quel punto o dovevo annullare la mia vita e quella della mia famiglia o dovevo comunicare, dovevo trovare qualcosa che motivasse la mia sopravvivenza e in aiuto mi è venuta proprio Manuela”. È così che ha deciso che l'Abruzzo un centro per il risveglio doveva averlo. Come tante famiglie che ha incontrato oltre al dramma ha vissuto anche le difficoltà di spostarsi continuamente perché la figlia avesse le cure migliori. E viaggiare ha costi elevatissimi senza dimenticare le spese sostenute dalla Asl e, soprattutto, le difficoltà dei più nel sostenerle e poterci essere in ogni momento. Ecco perché è al territorio, ma soprattutto alle persone, che voleva fare questo regalo. La disponibilità, racconta, l'ha trovata in tutti. Dai prefetti, compreso l'attuale Giancarlo Di Vincenzo, al direttore della Asl e fino all'assessore regionale Nicoletta Verì e il sindaco di Popoli Moriondo Santoro. Tutte le porte le si sono aperte. Porte cui ha bussato con quella gentilezza che la distingue e sempre, sottolinea, con umiltà.

Un'umiltà che ha colpito persino il ministro della Salute Orazio Schillaci cui lei aveva scritto una lettera a mano per fargli spare che l'Abruzzo quel centro lo aveva avuto. Commosso è stato lui a farle sapre con un'altra lettera che le ha aperto il cuore, ci racconta, che al taglio del nastro voleva esserci e che il 10 dicembre ci sarebbe stato. È avvenuto e oggi nel centro intitolato a Manuela ci sono 25 pazienti. Altre persone sono uscite dal coma in questi mesi, ma la storia di Steven è quella che forse riesce a raccontare meglio cosa vuol dire la presenza di una realtà sanitaria di questo tipo nella nostra regione. Cosa vuol dire per i pazienti e cosa vuol dire per le famiglie.

“Steven è arrivato una settimana dopo. Aveva avuto un incidente drammatico e aveva bisogno di questo centro. Per me è stato come trovarmi di fronte ad un disegno divino – spiega mamma Anna -, perché se non ci fosse stato il centro forse non avrebbe potuto avere queste cure tanto tempestive e soprattutto non avrebbe potuto riceverle nel suo ambiente. Quando lo hanno inaugurato messo la targa per Manuela ho fatto aggiungere due parole 'ti tenderò la mano, darò voce al tuo silenzio'. Queste parole sono diventate una speranza. Steven – racconta ancora – era stato operato in modo eccellente all'Aquila dal dottor Ricci e la sua equipe. Avevano già fatto un miracolo. È arrivato qui in coma e con una grave infezione curata in modo incredibile dal dottor D'Aurizio e il suo staff. Forse non ci si aspettava una ripresa tanto repentina e invece in sei mesi, il ragazzo si è ripreso. Ora parla, mangia da solo, cammina seppur non bene perché deve riacquistare mobilità, ma è uscito ed è tornato a casa. Non potevamo non esserci a Camarda per il suo arrivo. Ho portato con me una lettera del sindaco Biondi, i saluti del prefetto e anche quelli del ministro Schillaci. È stato un momento di grande commozione. Il momento in cui ho capito che questo progetto è diventato una bellissima realtà”.

Le terapie sono state fondamentali ovviamente perché come dice Anna, ci devono essere prima di tutto le competenze che qui non mancano. I passi sono stati fatti uno alla volta, ma se la scienza è quella conoscenza che ci dà gli strumenti per guarire, la speranza è quel qualcosa di intangibile che ci fa credere che tutto è possibile anche quando non lo sembra. Un lieto fine non c'è sempre, ma è in quello che tutti continuiamo a credere. Lo facciamo nella quotidianità anche per le piccole cose, lo facciamo ancor di più quando dobbiamo affrontare un dolore. 

A questo punto una domanda sentiamo di farla alla signora Anna e cioè cosa ha provato quando, da madre che una figlia l'ha persa, ha vissuto la gioia di una madre che invece quel figlio è tornata ad abbracciarlo e guardarlo negli occhi. “Come carattere ho sempre voluto il bene degli altri e nonostante il dolore che ho vissuto e mi porterò sempre dentro non ho mai voluto inaridirmi e diventare egoista. Ho gioito molto per Steven e per tutti quelli che si sono svegliati dal coma. Per tutti quelli che in quel buio non ci vogliono stare. Ho sempre credito che ci si possa risvegliare. Anche Manuela lo ha fatto e quel giorno lo ricordo bene. Era la sera dell'elezione di Papa Francesco. Lei era nel letto d'ospedale, noi seduti al suo fianco le tenevamo la mano. Fievolmente ce l'ha stretta questo per me è stato un segnale profondo. Ho provato una gioia così forte che penso non si riesca mai a provare neanche nei momenti più belli della vita. L'amore che mi sorregge e che mi ha sempre sorretto è quell'amore che ogni mamma prova stando al capezzale di un figlio”.

Ne è certa Anna, il centro di Popoli è destinato a diventare un'eccellenza ed è un esempio di buona sanità pubblica che ha la fortuna di essere inserito nel contesto di un ospedale mettendo quindi a disposizione dei pazienti tutte le professionalità possibili. Sì perché quando loro sono andati in Austria solo la degenza costava migliaia e migliaia di euro e se serviva un esami ci si doveva spostare aggiungendo altra sofferenza ad un dolore già sufficientemente grande. 

“Ci si lamenta sempre della sanità da queste parti, ma io che di strutture ne ho viste tante posso dire che non c'è tutto questo malessere. Da semplice e umile cittadina mi sono rivolta a queste persone che mi hanno aperto la porta e questo non è mai scontato”. Con lei, lo ribadisce in continuazione, c'è sempre Manuela e se Steven ora è tornato a casa è perché nella forza del suo sorriso qualcuno ha trovato quella di dare speranza e a volte la speranza sa scrivere un finale meraviglioso perché come dice Anna, “ci si deve credere sempre”. Lei ci crede e ci crederà sempre tanto che è pronta a scrivere un'altra pagina di questa storia. "Ho detto al sindaco che voglio realizzare un nucleo abitativo per i familiari dei pazienti e lui mi ha già promesso che realizzerà quattro o cinque camere in un edificio già esistente. Le arrederò io con la mia associazione".

Dietro una storia c'è sempre un'altra storia, ci sono in realtà tante storie ecco perché bisogna sempre “fare tutto con amore”: dove può arrivare non lo si può sapere. Questa volta è arrivato a Camarda, è arrivato nella vita di Steven e in quelle di tutti coloro che non lo hanno mai lasciato solo in questa difficile battaglia che ha saputo vincere con la sua forza, quella di chi gli è stato accanto, di chi lo ha curato e di chi ha fatto sì che quelle cure potesse riceverle non troppo lontano dalla sua casa.

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